Roma (NEV), 17 giugno 2015 – “Tutti i membri della comunità internazionale hanno il dovere morale e legale di salvare coloro le cui vite sono a rischio in mare o in transito, senza riguardo alla loro origine e al loro status”. Così si sono espressi i 20 membri del Comitato esecutivo del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) in una dichiarazione sul dramma di profughi e migranti che ovunque nel mondo perdono la vita fuggendo da guerre, persecuzioni, fame. Stilato durante le riunioni del CE, tenutesi a Etchmiazdin (Armenia) dall’8 al 12 giugno scorsi, il documento identifica l’origine di queste tragedie umane nelle tante crisi in atto nel mondo, citando alcuni eventi in particolare: le morti nel Mar Mediterraneo e nel Golfo del Bengala, le recenti uccisioni di lavoratori migranti etiopi in Libia, la violenza xenofobica scoppiata in Sudafrica.
Tutti episodi che “illustrano la particolare vulnerabilità di coloro che lasciano i loro paesi d’origine alla ricerca di sicurezza e di una vita migliore per sé e le loro famiglie”. A fronte di queste realtà, il CEC esorta la comunità internazionale a garantire procedure “generose, sicure e accessibili” per la migrazione legale delle persone; ricorda ai governi il dovere morale di salvare vite umane e ammonisce a non prendere alcuna iniziative che possa ulteriormente mettere a rischio la vita dei migranti. Soprattutto, secondo il CEC, è urgente che la comunità internazionale agisca per risolvere i conflitti, per porre fine a oppressioni e occupazioni, per sconfiggere la povertà – intervenga, cioè, sulle cause che determinano gli attuali flussi migratori.
Alle chiese membro del CEC, il documento ricorda, infine, “la promozione di un più aperto approccio all’accoglienza dello straniero e del prossimo nel bisogno”.