Sudan. Testimone discolpa due pastori sud sudanesi dall’accusa di spionaggio

Roma (NEV), 15 luglio 2015 – Si inizia a guardare con maggiore speranza alla difficile situazione dei pastori sud sudanesi Yat Michael e Peter Reith, sotto processo in Sudan. Nell’udienza tenutasi ieri, la difesa è riuscita a smontare le accuse di spionaggio e attentato alla sicurezza pubblica – due dei sei capi d’accusa per i quali i due ministri di culto rischiano, se condannati, la pena di morte. Sul banco dei testimoni è infatti salito l’ex generale e candidato alle elezioni presidenziali 2010, Abdul Aziz Khalid, che ha dimostrato come la documentazione presentata dall’accusa a carico dei due imputati fosse costituita da informazioni di dominio pubblico. “La corte ha udito la testimonianza di un illustre esperto della materia che ha testimoniato come non esista alcuna base a sostegno delle accuse – ha dichiarato Mervyn Thomas dell’organizzazione Christian Solidarity Worldwide (CSW) -. Per questo rinnoviamo il nostro appello affinché le imputazioni vengano fatte cadere e i due pastori rilasciati incondizionatamente e senza ulteriori ritardi”.

Il pastore Yat Michael era stato arrestato lo scorso dicembre dopo aver predicato nella chiesa evangelica di Khartoum-Bahri, coinvolta in una disputa territoriale con investitori privati sostenuti dal governo. Reith è stato incarcerato un mese dopo. Secondo quanto riportato da CSW, i due pastori sono stati tenuti in celle d’isolamento, incatenati, trasferiti nel carcere di massima sicurezza di Kobe, dove non hanno potuto ricevere né le visite dei familiari né quelle dei loro avvocati, uno dei quali ha subito a sua volta un arresto. A fronte di queste vessazioni, CSW ha lanciato la campagna #sethemfree per non abbassare la guardia in vista della sentenza del prossimo 5 agosto. Anzi, l’organizzazione cristiana ha indirizzato un appello all’Unione africana affinché chieda conto al Sudan “del trattamento disumano dei due pastori, l’incapacità di proteggere e promuovere la libertà religiosa, e di garantire il diritto a un giusto processo”.