Brexit in Nord Irlanda: “Il problema non sarà religioso”

Un’intervista al pastore Norman Hamilton, ex moderatore della Chiesa presbiteriana irlandese

Belfast, l'"Assembly Building" della Chiesa presbiteriana irlandese - foto concessa da: The Presbyterian Church in Ireland

Roma (NEV), 9 febbraio 2017 – A poche ore dal primo “sì” del parlamento britannico alla Brexit, abbiamo intervistato il pastore Norman Hamilton, ex moderatore della Chiesa presbiteriana irlandese, la maggiore denominazione protestante dell’Irlanda del Nord. Secondo Hamilton, che oggi coordina il Consiglio per gli affari pubblici della sua chiesa, al centro della crisi politica vissuta in Irlanda del Nord non vi sarebbe il problema religioso, ma una carente discussione economica sui costi e i benefici dell’appartenenza all’Unione europea (UE). In altri termini, soltanto se strumentalizzata dalla politica l’uscita del Regno Unito dall’UE correrà il rischio di “risvegliare” antiche divisioni confessionali.

Ieri il parlamento britannico ha autorizzato il governo di Theresa May a negoziare la Brexit. Se il referendum del 23 giugno era consultivo, questo voto (494 favorevoli, 122 contrari) è vincolante. Cosa succederà in Irlanda del Nord, dove il 56% aveva indicato stay?

Norman Hamilton – foto concessa da: The Presbyterian Church in Ireland

L’Irlanda del Nord dovrà seguire il Regno Unito fuori dall’UE, perché ne fa parte. Tuttavia le confermo che la preoccupazione è grande. Buona parte dell’economia nordirlandese è agricola, e in questi anni ha beneficiato del mercato unico. Dunque il primo problema non è di ordine politico, ideologico o religioso, ma economico, ed è questa la vera ragione per cui la maggior parte delle persone era e rimane per lo stay. Il secondo enorme problema riguarda il confine tra un’”Irlanda europea” e un’”Irlanda del Nord britannica”, una frontiera che la comune appartenenza all’UE aveva addormentato. Cosa accadrà lungo quel confine in termini di mobilità, nella vita quotidiana delle persone? Per fortuna né a Dublino né a Londra immaginano una frontiera chiusa. Stando a quanto si legge, entrambi i governi cercheranno di trovare una soluzione affinché i loro cittadini possano continuare a muoversi con facilità tra i due paesi senza che questo impedisca il ripristino di eventuali dazi doganali. Si tratta di un’operazione tecnicamente difficile, che ha dei costi anche sul piano psicologico.

Rispetto alla Brexit, qual è e quale è stata la posizione delle diverse chiese irlandesi?

Prima del voto il Consiglio delle chiese irlandesi (l’organizzazione che dal 1923 raggruppa protestanti, ortodossi, riformati e chiese indipendenti di tutta l’isola, ndr) ha pubblicato una ricerca le cui conclusioni erano in favore dello stay, ma da quanto ne so, il documento non è stato adottato da nessuna delle chiese che ne fanno parte. Dopotutto, ogni chiesa tiene insieme le complessità che ha al suo interno. Per questo né la chiesa presbiteriana né le altre denominazioni hanno preso posizioni ufficiali rispetto alla Brexit. Non ci sono ancora studi statistici al riguardo, ma è ragionevole credere che in ogni comunità ci siano stati voti in favore del leave e voti in favore dello stay, proprio perché il ragionamento è stato in prima istanza economico, non ideologico e non religioso. Buona parte dei membri di chiesa presbiteriani lavora nel mondo dell’agricoltura, il voto di quelle persone, su cui la Brexit avrà un grande impatto, è meglio analizzabile a partire dalla loro estrazione sociale piuttosto che dalla loro confessione.

L’Irlanda del Nord è senza governo dal 9 gennaio scorso, giorno delle dimissioni del viceministro McGuinness, cattolico e repubblicano. Quale sentimento domina nel paese? Cosa si respira in vista delle elezioni indette per il 2 marzo?

Nei confronti della politica il sentimento dominante è la disillusione. Leggendo i giornali si respira un senso di svilimento, secondo l’ultimo sondaggio disponibile la maggioranza dei nordirlandesi avrebbe preferito una soluzione diversa dal voto: alcuni avrebbero visto di buon occhio una temporanea reggenza di Londra (cosa già successa durante crisi passate), altri avrebbero apprezzato una soluzione negoziata, fondata su un accordo tra Belfast, Dublino e Londra. In generale, i cittadini non sono contenti di tornare alle urne, avrebbero fatto volentieri a meno di queste elezioni anticipate.

La disaffezione politica è un fenomeno europeo, ma la storia recente dell’Irlanda del Nord rende tutto più complesso. Che ruolo gioca l’appartenenza religiosa in questo contesto lacerato?

Da sempre i conflitti irlandesi hanno poco a vedere con la religione, riguardano piuttosto l’identità nazionale. Certamente, i protestanti irlandesi in genere si rifanno all’identità britannica, mentre i cattolici sentono predominante l’identità irlandese: l’appartenenza religiosa vissuta come fattore identitario è un fenomeno diffuso in tutto il mondo. Ciò ammesso, l’attuale crisi politica è dettata dalla rottura tra i partiti che compongono la coalizione di governo che nell’assetto nordirlandese è obbligatoria. Se lei entra in una qualsiasi chiesa dell’isola, cattolica o protestante che sia, sentirà parlare molto poco di politica e molto di Dio. Facilmente potrà avvertire la mancanza di fiducia nel pubblico dibattito, unita a una buona dose di preoccupazione per il futuro. Il 2 marzo temo un’affluenza molto bassa.

In conclusione, dal punto di vista religioso lei non scorge nessun pericolo?

Belfast, la Ballysillan Presbyterian Church, chiesa del pastore Norman Hamilton

Se stiamo alle dichiarazioni dei religiosi e delle chiese, direi proprio di no. Il discorso cambia sul piano politico, dove però la dimensione religiosa della Brexit non è indagata. Quello che manca in Irlanda del Nord è un consenso politico, una visione comune della business community sui costi e i benefici della Brexit. Oggi vivo in un piccolo villaggio a venti miglia da Belfast, ma ho speso tutta la mia esperienza di chiesa nei distretti nord della capitale, come pastore della Ballysillan Presbyterian Church. Come pastore mi auguro e prego per il miglioramento della qualità del pubblico dibattito nordirlandese.

Negli ultimi tempi abbiamo ascoltato un linguaggio, assistito a una volgarità che non sono consoni alla cosa pubblica. Tutto questo inibisce il pensiero e la discussione. La Chiesa presbiteriana, la Chiesa metodista e le altre chiese del paese hanno chiesto ad una sola voce di cambiare registro e toni, si sono appellate ai politici affinché alzassero il livello. In questo difficile momento, questo è il desiderio di tutti gli uomini di fede.