Corte UE: legittimo vietare il velo

La decisione della Corte europea di giustizia di Lussemburgo lascia forti perplessità. La preoccupazione di Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi-dialogo-integrazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, nonché coordinatore del Consiglio per i rapporti con l'islam italiano: “una sentenza che asseconda spinte populistiche e islamofobiche”

Roma (NEV), 15 marzo 2017 – “La sentenza lascia più di qualche perplessità”. E’ l’opinione del valdese Paolo Naso relativamente alla sentenza della Corte europea di giustizia di Lussemburgo pubblicata ieri. Secondo i giudici dell’Unione europea (UE), per un’azienda privata è legittimo vietare di indossare il velo islamico alle dipendenti che siano a contatto con i clienti.

Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi-dialogo-integrazione della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), nonché facilitatore del recente “Patto nazionale per un islam italiano” in qualità di coordinatore del Consiglio per i rapporti con l’islam italiano presso il Ministero dell’Interno, si dice perplesso “innanzitutto perché da una parte la sentenza riconosce il rischio della discriminazione nei confronti di chi porta il velo islamico o un altro simbolo religioso, ma dall’altra attribuisce un eccezionale potere di pressione e di condizionamento da parte dei datori di lavoro nei confronti di dipendenti che indossino indumenti o mostrino simboli coerenti con la propria tradizione religiosa. Oltretutto questo potere non viene riconosciuto in ragione di questioni di sicurezza o di funzionalità operativa ma semplicemente ideologiche. Con sano pragmatismo alcuni paesi, anche europei, riconoscono appieno la libertà di simboli e addirittura ammettono delle deroghe nel caso di chi presti servizio nelle forze dell’ordine: pensiamo ai poliziotti o ai militari inglesi di religione sikh autorizzati a indossare il turbante proprio della loro tradizione religiosa”.

Ma per Naso la sentenza preoccupa anche sotto un profilo più generale: “Viene fatalmente interpretata come uno strumento utile a contrastare la presenza dell’islam nello spazio pubblico europeo. Siamo quindi di fronte a una sentenza che asseconda spinte populistiche e islamofobiche. Una sentenza che arretra rispetto al senso comune e alle strategie di integrazione proprie di una società multireligiosa e interculturale. Diversamente da altri paesi europei, su questa materia l’Italia ha adottato una giurisprudenza orientata alla tutela dei simboli religiosi. Sarebbe negativo e sorprendente che cambiasse rotta”.