Il presidente FCEI per un’Europa ecumenica

In vista del sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, un’intervista al Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia: "Credo che lo spirito dell’ecumenismo e la forza dell’Europa politica risiedano entrambi nella capacità di riconoscersi e di stare insieme tra diversi"

Roma (NEV), 16 marzo 2017 – Il 25 marzo 1957 nasceva la Comunità economica europea, progenitrice dell’attuale Unione europea. In vista delle celebrazioni per i Sessant’anni dei Trattati di Roma, abbiamo chiesto al Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro, perché la costruzione di un’Europa politica costituisca una speranza anche per i protestanti italiani.

Domani il Parlamento italiano inaugura le celebrazioni per i sessant’anni dei trattati che istituirono le comunità economiche, ed anche una rappresentanza della Federazione delle chiese evangeliche sarà presente. Qual è il significato di questa partecipazione?

Luca Maria Negro

A sessant’anni dai Trattati di Roma è giusto chiedersi quale Europa abbiamo costruito e quale Europa ci aspetta nel futuro. Le risposte non sono facili perché oggi l’ideale europeo è messo in crisi da crescenti interessi nazionali, alimentati da populismi molto diversi tra loro ma che non esitano a definirsi “antieuropeisti”. Come evangelici non possiamo che esprimere una viva preoccupazione per la crisi dei valori europei che hanno orientato le madri e i padri fondatori dell’Unione: la solidarietà tra Stati, la difesa della pace, la tutela dei diritti umani, la libera circolazione delle persone e delle merci in un libero spazio democratico. Ecco perché il 25 marzo è anche una nostra ricorrenza.

E’ corretto affermare che i protestanti italiani sono sempre stati “europeisti”?

Ai protestanti italiani la costruzione di un’Europa politica interessa, perché riconosciamo che è in questo campo di pace che abbiamo potuto e potremo coltivare una testimonianza non solamente nazionale: penso a temi per definizione senza confini, come la giustizia sociale e la salvaguardia del creato. Ma penso anche alle Assemblee ecumeniche europee di Basilea (1989), Graz (1997), Sibiu (2007), penso alla “Carta ecumenica” sottoscritta dalle chiese europee nel 2001; penso al nostro impegno “europeo” in strutture come la Conferenza delle chiese europee (KEK) o la Commissione delle chiese per i migranti in Europa (CCME).

Dunque europeisti sì, ma non per questo acritici…

Le dimensioni e le complessità dell’attuale Unione europea la espongono senza dubbio a debolezze e contraddizioni: tutti i giorni è di fronte ai nostri occhi l’incapacità dell’Europa nel suo insieme di fare fronte all’emergenza migratoria proveniente dal Mediterraneo. Ciononostante, il generoso tentativo di immaginare un’Europa intesa come casa comune è e rimane garanzia di pace, solidarietà, pluralismo. Garanzia anche giuridica di umanità: chi, come noi, è impegnato nella realizzazione di “corridoi umanitari” a vantaggio dei più deboli sa bene che è negli articolati del Trattato di Schengen che si è trovato il dispositivo per attivarli.

Che tipo di Europa auspica per il futuro?

Un’Europa fedele alla parte migliore della sua storia. Non dobbiamo dimenticare che “Unita nella diversità” è il motto scelto dall’Unione europea. Un motto che suona alquanto familiare a noi protestanti italiani, da sempre impegnati nel dialogo ecumenico e interreligioso. Credo che lo spirito dell’ecumenismo e la forza dell’Europa politica risiedano entrambi nella capacità di riconoscersi e di stare insieme tra diversi. Ecco perché mi piace pensare all’Europa del futuro come a uno sforzo ecumenico, come a un’”unione di minoranze” – come diceva Romano Prodi – in costante dialogo tra loro.