Claudio Pasquet: vivere la Riforma significa andare controcorrente

Il pastore valdese Claudio Pasquet è stato eletto nel Comitato esecutivo (CE) della Comunione mondiale delle chiese riformate (CMCR) dalla recente Assemblea generale dell’organismo mondiale tenutasi a Lipsia (Germania) dal 28 giugno all’8 luglio. Lo abbiamo intervistato

Claudio Pasquet (seconda da destra) con alcuni partecipanti all'Assemblea della Comunione mondiale delle chiese riformate

Roma (NEV), 13 luglio 2017 – 440 delegati di chiese provenienti dai 5 continenti per 10 giorni hanno tracciato gli indirizzi di lavoro della CMCR, partecipando anche a momenti solenni, come i culti svoltisi a Berlino, Lipsia e Wittenberg, o come l’adesione alla Dichiarazione congiunta luterano-cattolica sulla Dottrina della giustificazione per fede, nonché la ratifica di un documento d’intenti con la Federazione luterana mondiale (FLM) tesa ad una maggiore collaborazione tra i due organismi confessionali. Ma quali sono le priorità di lavoro dei riformati, presbiteriani, calvinisti e valdesi di tutto il mondo per i prossimi anni? E quale può essere l’apporto di una storica chiesa di minoranza del Sud europeo? Lo abbiamo chiesto al pastore Claudio Pasquet di ritorno a San Secondo, nel pinerolese, dove cura la locale comunità valdese. 

Pastore Pasquet, qual è il messaggio centrale scaturito da quest’Assemblea?

E’ quello dell’urgenza di lottare per la giustizia sociale, economica ed ecologica a partire da una dimensione di fede. Il mondo sta correndo verso il baratro: tra sfruttamento delle risorse del pianeta e dei popoli, e la crescente disparità tra ricchi e poveri, le chiese riformate hanno riaffermato la necessità di rilanciare i temi della “Confessione di Accra” (licenziata 13 anni fa dall’Assemblea dell’allora Alleanza riformata mondiale (ARM), tenutasi nella capitale ghanese nel 2004. ndr). Un documento che non ha perso la sua validità, al contrario: è più attuale che mai! In questo quadro, un concetto che è emerso con forza dai documenti discussi a Lipsia è quello dell’empire, o “impero”.

Cosa s’intende con questo concetto?

Si intende quell’insieme di idee che pensano che la cosa più importante sia il profitto a tutti i costi, non importa a scapito di chi o di cosa. Di fronte alla dilagante ideologia dello sfruttamento e dell’oppressione, i riformati dicono: nel ‘500 siamo stati capaci di disubbidire alle strutture costituite, abbiamo remato contro, sfidando la staticità. Ecco, oggi è questo spirito che ci deve animare a cambiare lo status quo: dobbiamo essere capaci di dire dei “no”, ed agire di conseguenza, a favore della giustizia – che è precondizione per la pace. Legata a questo tema è la questione femminile, ampiamente dibattuta nel corso dell’Assemblea, a cominciare dall’ordinazione delle donne al ministero pastorale. E non è un caso se il Comitato esecutivo, composto da 22 persone provenienti dai cinque continenti, per la prima volta vede una maggioranza di donne.

Quali altre questioni hanno a che fare con il concetto dell’“impero”?

Anche i fenomeni migratori sono per così dire dei “sottoprodotti velenosi” dell’”impero”: un fenomeno ritenuto dai riformati riuniti a Lipsia inarrestabile, che tocca il mondo intero. Basti pensare ai sudanesi che si riversano nel Sudafrica, ai messicani negli USA, alle migrazioni interne al continente africano, per non parlare di quelle dovute ai disastri ambientali: le zone subsahariane e le isole del Pacifico ne sanno qualcosa.

Quello del cambiamento climatico è un tema che incide direttamente anche sulle procedure di lavoro che ci siamo date come Comitato esecutivo della CMCR: non faremo più di una riunione de visu all’anno, aggiornandoci periodicamente usufruendo delle nuove tecnologie, e questo per un semplice motivo: spostarsi attraversando interi continenti inquina.

L’Assemblea ha anche votato un documento che condanna l’omofobia. Che ne è della lotta dei diritti delle persone omosessuali all’interno delle chiese e nella società?

A livello mondiale le questioni legate all’etica sessuale rimangono assai delicate. Un tema sul quale bisognerà continuare a lavorare. Quello che porto a casa da quest’esperienza è: essere riformati oggi significa cercare strade diverse rispetto a quelle dominanti, sia sul fronte dell’economia e della società, sia su quello della vita concreta di tutti i giorni. Senza mai dimenticare la dimensione di fede, l’invito è: fate scelte scomode e controcorrente.

Quale pensa possa essere il suo apporto nel Comitato esecutivo, in quanto esponente di una chiesa di minoranza, e in più del Sud europeo?

In realtà, il fatto di essere minoranza, è una caratteristica di tutti i riformati-presbiteriani. Siamo minoranza ovunque, anche se a livello mondiale la nostra diffusione è assai capillare. Basti dire che all’Assemblea le delegazioni coreane e indonesiane erano di tutto riguardo. Nelle società occidentali, poi, con l’avanzare della secolarizzazione, dove i protestanti erano maggioritari, ora non lo sono più. Essere minoranza è un fatto costitutivo dell’essere riformati. Quindi, la specificità dell’essere valdese in tale consesso, non è tanto quella dell’essere minoritari da sempre, quanto quella di essere capaci di fare ponte, e non di erigere muri, come abbiamo dimostrato in questi anni con la questione migratoria. Il mio impegno, anche nel Comitato esecutivo, sarà in primis quello di continuare a costruire ponti.