Le nuove frontiere

di Alberto Mallardo e Francesco Piobbichi

Roma (NEV), 9 agosto 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene dall’Osservatorio di Lampedusa.

È quasi tramontato il sole e la nave Iuventa diventa piccola all’orizzonte. Sul molo i ragazzi dell’organizzazione Jugend Rettet osservano l’imbarcazione allontanarsi. La nave, che negli ultimi anni ha salvato oltre 14.000 persone, è stata fermata a Lampedusa per quello che in un primo momento sembrava solo un controllo di routine ma che si è presto trasformato in un’operazione di polizia che è culminata con un’accusa contro ignoti per favoreggiamento dell’immigrazione illegale aggravata e il sequestro preventivo della nave.

Appena un paio di giorni dopo si rincorrono le voci, poi rivelatesi infondate, di problemi anche alla nave Vos Proudence di Médecines Sans Frontières (MSF). Entrambe le organizzazioni non hanno firmato il Codice di condotta elaborato dal governo italiano per le organizzazioni attive nel Mediterraneo. Tra i punti più contestati la necessità di imbarcare personale di polizia a bordo e l’impossibilità di effettuare trasbordi su altre imbarcazioni dopo aver effettuato un salvataggio.

Chi segue le dinamiche delle operazioni di Search and Rescue (SAR) nel Mediterraneo Centrale, capirà immediatamente gli aspetti quantomeno controversi di questo protocollo. MSF ha infatti più volte sottolineato da un lato l’esigenza di salvaguardare il carattere puramente umanitario delle missioni di salvataggio, che altrimenti potrebbero perdere di indipendenza, neutralità e imparzialità. Dall’altro la necessità per le navi inserite nei dispositivi di ricerca e soccorso di rimanere nella zona SAR il più a lungo possibile, lasciando che siano altri a trasportare i naufraghi verso l’Italia.

Il dibattito intorno a queste questioni più tecniche però si è lasciato alle spalle una riflessione più ampia sui fenomeni migratori che possa partire da una molteplicità di prospettive diverse: le cause socio-economiche che li determinano, i sistemi criminali che ne beneficiano sia in termini di traffico che di sfruttamento del lavoro, l’accoglienza e i meccanismi che regolano l’accesso all’asilo, le procedure che portano all’approvazione o al respingimento delle richieste stesse; sono questi solo alcuni dei punti da analizzare. Invece, la rabbia e la paura sono ormai nude e si mostrano troppo spesso allo scoperto, mentre la politica e i media sono da mesi impegnati a mettere in discussione le norme di soccorso in mare e i meccanismi d’accoglienza, ponendole indiscriminatamente in uno stesso calderone.

Questa estate porta con sé una nuova evoluzione della frontiera e lo si capisce da alcuni fattori: i numeri in calo provenienti dalla Libia (di fatto più che dimezzati rispetto al mese di luglio 2016), l’attivismo della Guardia Costiera Libica, che ha iniziato ad intercettare i migranti , e per finire un dibattito pubblico che rileva un vero e proprio deficit di umanità. Con i corridoi umanitari abbiamo provato a costruire una risposta parziale alla crisi del diritto di asilo, risposta sicuramente da coniugare con una strategia più complessa che debba tenere in considerazione le cause del fenomeno migratorio.  Era una risposta, questa, che apriva una strada in cui si poteva coniugare una nuova idea di protezione internazionale.  La politica ha scelto purtroppo la strada già battuta con gli accordi con Gheddafi e a rimetterci saranno le persone che cercando una vita migliore ora si ritroveranno bloccate nell’inferno libico.