Ripabottoni (CB): il paese che non vuol lasciar andar via i suoi migranti

La cittadinanza del piccolo borgo molisano protesta per la chiusura del CAS e il trasferimento dei suoi 32 giovani richiedenti asilo. Un bel racconto di integrazione, sostenuto anche dalla locale chiesa battista e dalla parrocchia cattolica, interrotto da un brutto finale

Roma (NEV), 15 gennaio 2018 – C’è molta delusione tra gli abitanti di Ripabottoni, borgo dell’entroterra molisano, per la chiusura del Centro di accoglienza straordinaria (CAS) “Xenia” e per il trasferimento dei 32 giovani africani che vi abitavano, decretato dalla Prefettura di Campobasso. Una decisione che gli abitanti del paesino hanno cercato in tutti i modi di scongiurare anche attraverso la raccolta di oltre 150 firme a favore della presenza dei richiedenti asilo nel territorio di Ripabottoni.

E’ una storia al contrario quella che ci raggiunge dal Molise che, però, era iniziata come altre. “Quando, ormai quindici mesi fa, è giunta in paese la notizia della prossima apertura di un CAS, Ripabottoni ha reagito con apprensione, addirittura raccogliendo firme per impedire l’arrivo dei migranti”, racconta Miriam Sauro, operatrice presso il CAS Xenia e membro della locale chiesa battista.

“Quando poi i migranti sono arrivati davvero, e si sono presentati dei ragazzi vestiti con sandali e t-shirt, abiti del tutto inadeguati alla stagione, la gente di Ripabottoni si è mostrata per quello che è sempre stata: accogliente e solidale”, ricorda Sauro.

E’ nata una bella storia di integrazione riuscita che ha coinvolto l’intero paese. I giovani del CAS, infatti, si sono integrati partecipando e portando nuove energie agli ambiti aggregativi di Ripabottoni, come per esempio la parrocchia cattolica e la chiesa battista, presente da oltre cent’anni sul territorio. “Alcuni di loro hanno iniziato a frequentare la nostra chiesa, a suonare durante i culti e a guidare la comunità nel canto – spiega ancora Sauro -. E, da parte nostra, abbiamo iniziato a introdurre delle letture in lingua inglese”.

Testimone della buona integrazione è anche Marta Bernardini, operatrice del programma Mediterranean Hope della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), che ha trascorso le vacanze estive proprio a Ripabottoni. “I giovani africani si incontravano in paese, in un’atmosfera davvero positiva. E non hanno contribuito solo alla vita delle due chiese di Ripabottoni, ma hanno anche contribuito alla ricostituzione della locale squadra di calcio”.

Non può dunque stupire che a Ripabottoni siano tutti rimasti malissimo alla notizia della chiusura del CAS, accelerata, secondo quanto riportato dai media locali, da un’iniziativa del sindaco del paese. L’amministrazione comunale ha infatti deliberato nel febbraio dello scorso anno a favore della costituzione sul territorio di Ripabottoni di uno SPRAR a favore dei minori non accompagnati.

Un progetto che, si legge nella delibera del 7 febbraio 2017 disponibile sulla rete, il Comune ha voluto per “contribuire a superare la fase di gestione dei migranti in centri di accoglienza temporanea diffusi sul territorio che genera spesso allarme sociale, non è finalizzato a politiche di integrazione ed è gestito senza il coinvolgimento delle comunità locali”. Tutte cose che, in realtà, con il CAS Xenia di Ripabottoni sembra si stessero già verificando.

“Avremmo sperato che il CAS potesse svuotarsi mano a mano che i suoi ospiti avessero ottenuto i permessi di soggiorno, senza accogliere nuovi migranti”, spiega Sauro. Invece il sindaco si è appellato a un regolamento che ritiene alternativa la presenza sullo stesso territorio di uno SPRAR e di un CAS.

Il prefetto ha così disposto la chiusura di Xenia, senza nemmeno ascoltare i firmatari della petizione a favore della permanenza dei giovani migranti a Ripabottoni. “Chiudere Xenia non è come chiudere un magazzino”, ha affermato con forza Sauro. Si è invece preferito interrompere un bel racconto di integrazione e lasciarne alle cronache il suo brutto epilogo.