A Beirut, in punta di piedi

di Monica Natali

Groviglio di fili fra le case nel quartiere di Sabra a Beirut, dove vivono molte famiglie siriane e irachene (foto: Simone Scotta/FCEI-MH)

Roma (NEV), 28 febbraio 2018 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) per Mediterranean Hope (MH) – Programma rifugiati e migranti. Questa settimana proviene da Beirut, in Libano.

I miei sono gli occhi di una donna italiana sbarcata otto giorni fa a Beirut, per la prima volta in Medio Oriente, per la prima volta in Libano, per la prima volta in missione come volontaria nel progetto Mediterranean Hope. Dal cuore della metropoli libanese che ti offre illusioni consumistiche al pari delle più grandi capitali europee di lusso, alla miseria e al degrado di Sabra; dal folle traffico automobilistico che opprime e aliena la città, alle silenziose e disabitate colline della Bekka; dalle fredde regioni del nord a pochi chilometri dalla Siria bombardata, al tiepido lungomare di Tripoli; da Saida a Tel Abbass, luogo “non luogo” che non avrebbe la dignità di esistere.

Un vicolo di Sabra, Beirut (foto: Simone Scotta/FCEI-MH)

C’è tutto e il contrario di tutto in questo piccolissimo lembo di terra. Ambienti così diversi dove è possibile incontrare uomini, donne, bambini e adolescenti diversissimi tra loro: case in cui entri non solo togliendoti le scarpe, ma “in punta di piedi” perché, nonostante la miseria più nera, quella è la loro casa, quella è la porta che ti aprono, sono loro i primi ad accoglierti. E puoi ascoltare tutte le loro storie, che sono tante e una diversa dall’altra: e non sono “belle storie”, o favole a lieto fine, o incubi che, non appena ti svegli e apri gli occhi nella tua rassicurante cameretta, dici: “Ah! Era solo un brutto sogno!”. Incontri tanta e varia umanità: c’è chi ha le idee chiare e sa cosa vuole, sa cosa cercare, sa cosa chiederti; ma c’è chi tace e ti guarda quasi aspettando che sia tu a proporre qualcosa, chi pensa non sia possibile progettare un futuro.

E poi c’è l’immensa macchina dell’accoglienza, sempre più organizzata e strutturata e, nello stesso tempo, sempre più sotto i riflettori della stampa e dell’opinione pubblica: organizzazioni internazionali, associazioni civili, volontari, semplici persone “di buona volontà” che lavorano insieme, unite da un medesimo “sentire”, ciascuno con i propri strumenti, per un medesimo scopo.

Il diritto alla salute? Il diritto allo studio? Il diritto all’assistenza? Diritti negati, privilegi che puoi solo comperare a caro prezzo. Sì, basta avere i soldi e compri tutto, anche il diritto (o il privilegio?) alla vita.