Pronti a fare la nostra parte

Christiane Groeben verso la SeaWatch3

Roma (NEV/Riforma.it), 7 gennaio 2019 – “Abbiamo affrontato i colloqui con l’equipaggio e le persone a bordo della Sea Watch con gratitudine, gioia, imbarazzo, anche tanta tristezza”, così ha detto la vicepresidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) Christiane Groeben, raggiunta telefonicamente a Malta al termine dell’incontro con le persone ancora a bordo della Sea Watch 3.  Due imbarcazioni sono partite da Malta nell’ambito dell’Alleanza United4Med a sostegno della nave che ormai da molti giorni attende l’assegnazione di un porto sicuro per le 32 persone, donne, uomini e bambini, salvate nel Mediterraneo centrale il 22 dicembre scorso. Groeben è salita a bordo della Sea Watch 3 nella mattinata del 4 dicembre insieme a una delegazione di parlamentari europei tedeschi, di giornalisti internazionali e di attivisti della società civile.

“La FCEI – prosegue – ha recentemente siglato un accordo di partenariato con Sea Watch per dare concretezza alle sue attività umanitarie. Non eravamo sicuri di riuscire a incontrare le persone a bordo. Le loro condizioni di salute e psicologiche e l’affaticamento per l’estenuante navigazione non garantivano la possibilità di poter parlare con loro. La nostra visita quel giorno era condizionata anche dall’imminente cambio d’equipaggio: gli ospiti dovevano essere avvisati, sostenuti psicologicamente per l’allontanamento del personale amico e per il fatto che la discesa dalla nave era una condizione a loro negata”.

Malgrado le difficoltà l’incontro è poi avvenuto?

Hanno deciso di farlo. In quel momento loro si trovavano a poppa e noi in coperta. La delegazione – oltre alla mia rappresentanza come Federazione delle chiese evangeliche in Italia – era composta da cinque membri del Parlamento tedesco di diversi schieramenti politici e da un membro del Parlamento europeo. C’erano anche giornalisti e troupe televisive. Non è stato facile rispondere alle loro domande non potendo dare risposte certe, sia sul futuro sia su quando sarebbe finito il loro peregrinare, sul perché nessun paese civile e democratico volesse accoglierli dando loro un porto sicuro.

Tra le storie ascoltate ne ricorda una in particolare?

Quella di un ragazzo sedicenne, partito dalla Guinea e sedicesimo figlio della quarta moglie del padre, che per via della povertà e dei pochi mezzi di sostentamento a disposizione ha deciso di fuggire dal suo paese con la speranza di poter trovare condizioni di vita migliori e per poter aiutare la sua famiglia. Al di là dei singoli racconti le persone incontrate mostravano serenità e molta gratitudine verso l’equipaggio che ha fatto un ottimo lavoro di accompagnamento medico e psicologico soprattutto ai bambini spaesati dalla lunga permanenza in nave e per la presenza delle navi di sostegno, viste inizialmente come minacce per possibili rimpatri.

Quali sono state le domande ricorrenti?

Perché non ci viene dato un passaporto, un documento? Perché altre navi possono entrare nei porti e noi no? Perché l’equipaggio può scendere dalla nave e noi no? Perché non possiamo toccare terra ed essere liberi di muoverci? Non è stato facile spiegare che la loro permanenza sulla nave dipende da mere ragioni di scelte governative, legislative e burocratiche. Sulla nave ci sono tre bambini e diversi nuclei famigliari, tutte persone come noi… ma noi eravamo sulla nave in una condizione privilegiata, come persone libere. Non è stato facile scendere lasciandoli a bordo.

Prima parlava di tristezza?

Abbiamo affrontato questi incontri con la tristezza che deriva dal fatto di non sapere che fine abbia fatto l’idea di un’Europa unita che accoglie lo straniero.

Oltre al sostegno dichiarato ai 49 profughi, da tempo la FCEI promuove azioni di accoglienza, e di concerto con la Diaconia valdese, con il progetto Mediterranean Hope, con l’attivazione anni fa del progetto pilota in Europa dei Corridoi umanitari e con altri progetti di accoglienza a Scicli e Lampedusa. Quali saranno i passi futuri?

Come chiese protestanti italiane e tedesche proponiamo il modello dei “Corridoi europei”, per distinguerli dai Corridoi umanitari, e chiediamo a chi di competenza di valutare i passi politici necessari per poterli attivare. La volontà è quella di accompagnare le persone una volta giunte sulla terraferma con regolari voli di linea in Paesi disponibili all’accoglienza, come ad esempio Heidelberg nel Baden della Germania. FCEI e Diaconia valdese sono pronte per assicurare l’accompagnamento. Credo che aiutare le persone bisognose e salvare vite umane sia il compito primario di ogni chiesa.

Personalmente che cosa sente?

Credo che quando ci si muove davvero con il cuore, con la fede, si trovano vie, metodi e soluzioni ai problemi. Sono certa che come chiese, unite, sapremo realizzare progetti sempre più grandi e ambiziosi. Sono ottimista, ho speranza nel futuro, malgrado il difficile clima che ci circonda.