Roma (NEV), 2 settembre 2015 – La lettera con cui il Sinodo metodista e valdese (Torre Pellice, 23-28 agosto) ha risposto ed accolto la richiesta di perdono pronunciata da papa Francesco nella sua visita al tempio valdese di Torino il 22 giugno scorso (vedi notizia precedente), è stata al centro di un piccolo caso mediatico. Alcuni organi d’informazione ne hanno infatti travisato il senso diffondendo la notizia, su cartaceo e sulla rete, che i valdesi avrebbero rimandato al mittente le scuse del pontefice. “I valdesi al papa: non possiamo perdonare”, titolava, per esempio, La Stampa dello scorso 25 agosto. Un fraintendimento che nasce da una frase del testo, contenuta nel quarto ed ultimo paragrafo della lettera, che afferma: “Questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al posto loro. La grazia di Dio, però, ‘è sovrabbondata, là dove il peccato è abbondato’ [Romani, 5,20], e questo noi crediamo e confessiamo”.
Un’affermazione che voleva ricordare come, nel concedere il perdono, non ci si possa sostituire alle vittime del passato: il perdono non cancella il passato, ma si esprime nella disponibilità a immaginare insieme un futuro diverso. Un’affermazione che il mondo cattolico, a differenza di quello laico, ha compreso senza equivoci ed ha interpretato alla luce del contesto ampiamente positivo dell’intera lettera. In questo senso si è espresso mons. Bruno Forte, presidente dell’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI) della CEI, che nel suo discorso al Sinodo valdese – al quale è intervenuto accompagnato da mons. Pier Giorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo, e da don Cristiano Bettega, direttore dell’UNEDI – ha definito la lettera “vera, aperta e onesta”, invitando valdesi e metodisti a “camminare insieme al servizio del Vangelo”. Sulla stessa lunghezza d’onda si è espresso Enzo Bianchi, il priore della Comunità di Bose, con un’editoriale sulla prima pagina de “La Repubblica” del 26 agosto, nel quale ha esaminato la risposta del Sinodo alla luce del significato biblico del perdono.
“Certamente – ha scritto Bianchi – la chiesa valdese di oggi non può concedere il perdono a nome dei valdesi dei secoli passati ma, accettando la confessione e il pentimento da parte della ‘voce’ della chiesa cattolica può accoglierne la sincerità, l’affetto, il riconoscimento per un cammino verso la comunione non più segnata da ostilità e accuse”. Sulla prima pagina di “Avvenire” del 26 agosto Marco Impagliazzo ha ricordato come la lettera del Sinodo sia “il segno di una comunicazione fraterna che, se non cancella come un colpo di spugna la storia, mostra il livello di fiducia tra cattolici e valdesi”, pronti a iniziare una storia nuova, basata sul perdono e la fraternità reciproca.