Rom (NEV), 27 luglio 2016 – Alla vigilia della XXI Conferenza internazionale sull’AIDS, tenutasi a Durban (Sudafrica) dal 18 al 22 luglio scorsi, una pre-conferenza interreligiosa ha riunito allo stesso tavolo rappresentanti laici e religiosi di organizzazioni ecumeniche e internazionali provenienti da tutti e cinque i continenti. Organizzato dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) – che per promuovere “competenze di chiesa” sul virus HIV nel 2002 ha lanciato il programma Ehaia – in collaborazione con il Christian AIDS Bureau for Southern Africa (CABSA), la “Pre-Conference”, riunitasi tra il 16 e il 17 luglio sotto al titolo “Faith on the fast track” (“Le fedi in prima linea”) ha individuato tre contributi concreti che le religioni possono portare alla condizione del malato di AIDS nel mondo. Secondo i delegati, nelle singole comunità di fede specifiche azioni di carattere religioso possono essere intraprese al fine di evitare la discriminazione delle persone affette da HIV, per favorire l’accesso dei bambini e degli adolescenti ai servizi sanitari e per garantire il rispetto dei diritti umani. Tre punti in linea con la UNAIDS strategy lanciata dalle Nazioni Unite per il quinquennio 2016-2021.
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