a cura di Luca Baratto e Nicola Pedrazzi
Roma (NEV), 10 agosto 2016 – A Torre Pellice (TO), nelle “valli valdesi”, si apre domenica 21 agosto il consueto Sinodo delle chiese metodiste e valdesi. Alla vigilia del dibattito sinodale abbiamo chiesto al pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese (l’organo esecutivo dell’Unione delle chiese metodiste e valdesi), qualche considerazione sull’anno appena trascorso e un’anticipazione su alcuni possibili nodi in discussione all’assemblea.
Nel corso dell’ultimo anno, le relazioni ecumeniche tra le chiese valdesi e metodiste e la chiesa cattolica sembrano essersi approfondite. Siamo di fronte a una nuova stagione? Quanta parte gioca la secolarizzazione nel dialogo tra le confessioni?
“Si sono approfondite e ampliate. La visita di papa Francesco a Torino del giugno 2015 e l’invito in Vaticano del 5 marzo scorso hanno dato la spinta a un rinnovato impegno di scambio con la chiesa cattolica italiana. Abbiamo già in programma un convegno di studio sul protestantesimo promosso dall’Ufficio ecumenismo e dialogo della CEI (Trento, 16-18 novembre) e probabilmente un convegno l’anno prossimo sui 500 anni della Riforma protestante. Abbiamo incontrato, per la prima volta insieme, i delegati cattolici per l’ecumenismo di tutt’Italia, e, sempre per la prima volta, l’arcivescovo di Palermo, mons. Corrado Lorefice, ha visitato la nostra chiesa di via dello Spezio a Palermo, partecipando al culto di domenica 8 maggio. Siamo consapevoli che le diverse visioni teologiche tra protestanti e cattolici non si risolveranno in tempi brevi, ma abbiamo la consapevolezza che stiamo vivendo un tempo in cui, anche per i processi profondi di secolarizzazione e multiculturalismo, è più forte e urgente la nostra responsabilità di presentare la fede e l’impegno evangelico in modo rinnovato”.
Un esito concreto di queste rinnovate relazioni ecumeniche è il progetto pilota dei “corridoi umanitari”, finanziato con l’otto per mille valdese e metodista e condotto congiuntamente da FCEI e Comunità di Sant’Egidio. Qual è la portata, quale l’importanza e quali le prospettive di questa iniziativa?
“Il progetto è sostenuto anche dalla Diaconia valdese che, insieme a vari enti cattolici, sostiene concretamente l’ospitalità in Italia delle persone che giungono con i nostri ‘corridoi’. Quest’esperienza ha rafforzato la collaborazione ecumenica anche ad altri livelli: per esempio sul confine di Ventimiglia dove la Diaconia valdese collabora con la Caritas locale nell’assistenza ai profughi bloccati sul confine francese. Si tratta inoltre di un’importante iniziativa di diaconia politica ecumenica, che coinvolge l’opinione pubblica e le istituzioni europee. Tutto ciò non si sarebbe potuto realizzare se alla base non ci fosse stato il rapporto di fiducia reciproca e collaborazione tra noi e la Comunità di Sant’Egidio. L’ecumenismo, quindi, non è solo una questione interna tra cristiani ma è anche un modo per svolgere meglio il servizio e la missione cristiana nel mondo a cui tutti, evangelici e cattolici, siamo chiamati”.
Stando a quanto emerso dai dibattiti distrettuali, una delle questioni che anima le chiese metodiste e valdesi è il rapporto tra predicazione e diaconia. Il Sinodo come affronterà questo nodo?
“Predicazione e diaconia sono la due facce di un’unica medaglia, di questo siamo tutti consapevoli. Quello che preoccupa e fa discutere è la diversità di linguaggi, regole e tempi di una diaconia moderna – soggetta tra l’altro alle molte normative pubbliche che regolano opportunamente tutto il cosiddetto Terzo settore – rispetto a quelli della predicazione. Specie quando si confronta la “forza” delle nostre istituzioni diaconali alla ‘debolezza’ delle nostre istituzioni comunitarie, una differenza che si misura normalmente in termini di risorse umane ed economiche a disposizione. La nostra scelta di non finanziare ‘il culto’ con l’otto per mille per destinarlo interamente alle iniziative assistenziali, sanitarie, educative e culturali ha accentuato questa dialettica. Ma predicazione e diaconia, se vogliono mantenere la loro specificità cristiana, non possono che crescere insieme e chiamarsi a reciproche responsabilità. Ci auguriamo di trovare nel Sinodo una sintesi costruttiva, come abbiamo sempre fatto fino a oggi”.
Il Sinodo vede ogni anno la presenza di numerosi ospiti di chiese sorelle straniere. Mai come prima d’ora l’Europa è attraversata da spinte populiste e nazionaliste. Come vive la chiesa valdese queste tensioni, a partire dalle relazioni internazionali che intrattiene?
“Quello che posso constatare è che decenni di intense relazioni internazionali tra le varie chiese protestanti europee hanno creato una cultura comune della responsabilità sociale e dell’apertura ecumenica e interreligiosa. Un po’ ovunque nel nostro continente, le chiese protestanti sono state concordi nel difendere la politica dell’accoglienza e della coesione europea, a volte in contrasto con i loro governi e le loro opinioni pubbliche, e a combattere proprio quelle spinte populiste e nazionaliste che fanno leva sui sentimenti di paura e insicurezza che attraversano la nostra società. La realtà che viviamo in Europa, a differenza di quella descritta dalle narrazioni manipolatorie, ci mostra una società che, nonostante crisi e difficoltà profonde, reagisce con civiltà, con misura, con solidarietà”.
Il 31 ottobre prossimo si aprirà a livello internazionale il Cinquecentenario della Riforma protestante. Come lo celebreranno le chiese metodiste e valdesi?
“A noi interessa presentare la realtà storica della Riforma, tanto sconosciuta in Italia, e la realtà presente delle varie chiese che discendono da quel grande movimento rinnovatore della fede e della cultura occidentale. Lo faremo sia a livello locale, con una molteplicità di iniziative, sia a livello nazionale, a Pentecoste a Milano, con una grande festa del protestantesimo italiano e un culto di riconoscenza. Come accadrà a livello internazionale, anche in Italia questo anniversario sarà celebrato in chiave ecumenica. Questo non deve stupire perché, pur non avendo appianato le divergenze tra protestanti e cattolici, in oltre un secolo di dialogo e collaborazione abbiamo tutti compreso che nelle cose fondamentali siamo più uniti di ciò che pensiamo e quindi non possiamo più confessarci cristiani senza o contro gli altri”.