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Consiglio ecumenico. Dopo 57 anni di nuovo in Sudafrica

Il Consiglio ecumenico delle chiese, con sede a Ginevra, dal 1960, e cioè dalla rottura con la chiesa riformata complice nell’apartheid, non entrava nello stato africano. L’importanza di un percorso condiviso

Di
Agenzia NEV
-
23 Giugno 2017
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    Roma (NEV/Riforma.it), 23 giugno 2017 – La riunione conclusasi ieri e che per una settimana ha impegnato i rappresentanti della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), è stata a suo modo un avvenimento storico.

    Non tanto per il meeting in sé, dal momento che la Commissione esiste dal 1948 con lo scopo di lavorare per un’immagine coesa di chiese cristiane impegnate tutte insieme a creare una comunità eucaristica, ma per il luogo scelto per l’appuntamento 2017: è stato infatti il Sudafrica, e più precisamente la città di Pretoria, ad ospitare i circa 50 delegati della Commissione.

    Il CEC non entrava con i suoi rappresentanti in Sudafrica dal 1960, dalla drammatica conferenza voluta dal CEC a Cottesloe, un sobborgo di Johannesburg, per valutare la posizione della Chiesa riformata olandese in Sudafrica all’indomani del tremendo massacro di Sharpeville in cui morirono 69 dimostranti, uccisi dagli spari della polizia mentre manifestavano contro le discriminazioni razziali. E proprio per l’appoggio e la giustificazione anche teologica offerta all’apartheid, il CEC decise di sospendere come suo membro la chiesa fondata dai coloni olandesi sbarcati in Africa due secoli prima come.

    57 anni dopo, i lavori di “Fede e Costituzione” sono iniziati simbolicamente il 16 di giugno, che in Sudafrica è il giorno della gioventù, istituito per ricordare la rivolta degli studenti di Soweto nel 1976 contro il sistema educativo che escludeva la maggioranza nera dalla possibilità di accedere alle scuole. Significativo che il dibattito si sia svolto alla facoltà di Teologia di Pretoria che compie quest’anno 100 anni di attività, e che un tempo era uno dei baluardi dell’educazione bianca, mentre ora il 60% dei suoi studenti è africana.

    Dopo anni di dibattiti e tavole rotonde solo lo scorso anno gli esecutivi del CEC hanno deciso di riammettere quale membro la Chiesa riformata olandese in Sudafrica, a suggello di un percorso di rigetto di ogni forma di razzismo avviato a partire dal 1986.

    L’importanza del processo compiuto dalla denominazione riformata sudafricana è stata rimarcata anche dal moderatore della Tavola valdese Eugenio Bernardini nel corso del discorso conclusivo del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi del 2016. Il pastore Bernardini, nel ricordare l’impegno protestante contro un uso blasfemo ed eretico della parola di Dio, ha citato proprio l’esempio sud africano in questi termini, puntando il dito sulla sospensione da un altro importante organismo internazionale di chiese, l’Alleanza riformata mondiale (ARM): “La più importante chiesa del Sudafrica, la Chiesa riformata olandese, sosteneva con argomentazioni teologiche lo sviluppo separato delle razze; nel 1982 l’allora ARM (oggi è la Comunione mondiale di chiese riformate, ndr.) dichiarò l’apartheid una eresia teologica e decise di sospendere questa Chiesa, e un’altra, più piccola, del Sudafrica. La sospese chiedendo la conversione: iniziò un lungo processo doloroso che la spaccò nel 1982. Una parte comprese che non si poteva manipolare il nome di Dio per interessi politici ed economici. Fu una lotta lunghissima, fino al 1999, quando l’ARM riammise la Chiesa riformata olandese che aveva subito un lungo processo di conversione. Questo è il cammino che noi oggi dobbiamo fare, e aiutare a fare, in modo che si contrastino queste manipolazioni che sempre tornano alla ribalta, che coinvolgono oggi particolarmente il mondo islamico ma che sono sempre un rischio per tutte le religioni. Sono necessari non soltanto degli esempi, delle parole, ma anche dei gesti che condannino proprio queste interpretazioni”. A volte i cerchi si chiudono e forse si può cambiare pagina. Per fortuna. (Claudio Geymonat)

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