(NEV), 22 agosto 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene dalla “Casa delle Culture” di Scicli.
Sono le nove di sera alla Casa delle Culture. Come al solito mamma Dada, una donna marocchina ospite del centro, la più grande di tutte, è l’ultima ad alzarsi da tavola, mentre le ragazze di turno per la pulizia sparecchiano e mettono le sedie capovolte sul tavolo per pulire il pavimento. Dopo aver cenato tutte insieme ci ritroviamo nel salone per svolgere un’attività pensata da Marianna, che è bravissima a coinvolgere le ragazze. Si tratta di geopardy, un quiz a squadre con diverse categorie di domande e diverse fasce di difficoltà e punti. Vince la squadra che, alla fine del gioco, ha accumulato il “monte premi” maggiore. Passiamo il tempo insieme, con questa e altre attività: karaoke, visione di film, uscite per la città e dintorni. In questa fase di prima accoglienza, spesso troppo prolungata, non possiamo fare altro se non aspettare, così cerchiamo il modo di vivere l’attesa in modo creativo e positivo.
Le ragazze scendono nel salone e si siedono davanti al proiettore che abbiamo preparato. Inizialmente sembrano riluttanti. A volte coinvolgerle non è facile. Poi il gioco comincia, le ragazze si appassionano, cercano la risposta corretta, festeggiano rumorosamente quando l’azzeccano. Falala fa divertire tutte con la sua mimica corporea potente, si alza in piedi, urla, punta il dito contro chi pensa abbia barato. Isabella fissa concentrata le domande con i suoi occhioni tondi, Sonia fa foto con la mia macchina fotografica, Faraa mi parla sottovoce per farsi suggerire la risposta corretta. La serata sta andando meglio di come ce lo immaginavamo, le ragazze si divertono ed anche noi volontari, mentre scopriamo con imbarazzo quanto sappiamo poco di geografia africana.
Improvvisamente, le ragazze si alzano di scatto, all’unisono, e si precipitano disordinatamente fuori dalla porta del centro. Noi non capiamo cosa stia succedendo, io le rincorro, preoccupato soprattutto per le sorti della mia macchina fotografica, che penzola pericolosamente dal collo di Sonia. Fuori, capiamo il motivo dell’agitazione, di questa corsa improvvisa: sul marciapiede davanti al centro è appena passata una coppia di sposi. Le ragazze li rincorrono, piombano loro addosso, guardano ammirate il vestito bianco di lei ed il completo scuro di lui, poi si mettono attorno alla sposa per fare una foto.
Gli sposi sono chiaramente sorpresi, soprattutto il marito, poi divertiti si mettono in posa. Scattate alcune foto, le ragazze salutano contentissime e tornano dentro correndo, soddisfatte. Finiamo il gioco, mettiamo musica nigeriana, noi volontari cantiamo le canzoni di Davido che ormai conosciamo a memoria, le ragazze ballano come solo loro sanno fare. Eppure, la scena di poco prima, oltre a farci piangere dal ridere, mi rimane particolarmente impressa. Non so cosa abbia spinto le ragazze ad agire in questo modo, se ad attrarle sia stato il vestito nuovo e vistoso, gli sposi, o se probabilmente sia stata una cosa successa un po’ così, senza una ragione precisa. Eppure in quella corsa improvvisa, negli sguardi delle ragazze pieni di ammirazione per i due sposi, nelle loro mani sulla coda del vestito bianco, nel loro fare a gara a chi sta più vicina alla sposa, ho visto tutti i desideri, le ambizioni e i sogni che ragazze di diciotto, diciannove, o poco più di vent’anni possono avere. In quella rincorsa agli sposi, simbolo di una vita felice, ho visto la rincorsa di un sogno, quella ricerca di una vita migliore che motiva ragazze come le nostre, a volte giovanissime, a mettersi in viaggio, in cerca di un futuro diverso.