Gerusalemme. Un coro di voci per mantenere lo status quo

Leader cristiani di Terra Santa, Europa e USA esprimono preoccupazione per la presa di posizione del presidente americano Donald Trump sulla “israelizzazione” di Gerusalemme e chiedono una marcia indietro. Rischio escalation, domani odg al Consiglio di Sicurezza ONU

Immagine pixabay

Roma (NEV), 7 dicembre 2017 – Preoccupazione internazionale da parte di governi e chiese per la decisione del presidente americano Donald Trump che ha dichiarato Gerusalemme “capitale d’Israele”. Reazioni in tutto il mondo si stanno susseguendo in queste ore da parte di governi, organismi internazionali e delle stesse chiese cristiane.

In una lettera aperta al presidente Donald Trump, tredici leader delle chiese di Gerusalemme appartenenti a varie tradizioni cristiane, fra cui il vescovo luterano Munib Younan, il patriarca greco ortodosso Theophilos III e l’arcivescovo Pierbattista Pizzaballa del Patriarcato latino, hanno chiesto una marcia indietro: “La nostra terra, Gerusalemme, chiamata città santa, città di Dio, città di pace per noi e per il mondo intero, è oggi purtroppo terra di conflitto. Coloro che amano Gerusalemme hanno la volontà di lavorare affinché sia una città di pace, vita e dignità per tutti i suoi abitanti. Abbiamo la certezza che mosse di questo tenore produrranno un crescente odio, conflitto, violenza e sofferenza a Gerusalemme e in Terra Santa, allontanandoci dall’obiettivo dell’unità e portandoci verso una divisione distruttiva” si legge nella lettera, che si chiude con un appello diretto a Trump: “Come leader cristiani di Gerusalemme, ti invitiamo a camminare con noi nella speranza di costruire una pace giusta, inclusiva per tutte le persone di questa città unica e Santa”.

Al coro di voci si è unita quella del Consiglio nazionale delle chiese cristiane degli Stati Uniti (NCCCUSA) “Ci opponiamo alla decisione degli Stati Uniti di dichiarare Gerusalemme capitale di Israele” si legge in una nota che, invitando alla cautela, sottolinea “Lo status di Gerusalemme è stato a lungo al centro del conflitto israelo-palestinese. Mentre Gerusalemme Ovest è capitale de facto di Israele, Gerusalemme Est è sempre stata considerata la capitale del futuro stato della Palestina. Dichiarando unilateralmente l’intera città quale capitale di Israele e annunciando lo spostamento dell’ambasciata americana a Gerusalemme, Trump ha gettato benzina sul fuoco del conflitto nella regione”.

Grande preoccupazione per le divisioni che si stanno venendo a creare è stata espressa anche dall’arcivescovo di Canterbury Justin Welby, che in un tweet ha dichiarato: “Lo status quo della città di Gerusalemme è uno dei pochi elementi stabili di speranza per la pace e la riconciliazione di cristiani, ebrei e musulmani in Terra Santa. Preghiamo per la pace a Gerusalemme”. Atre reazioni sono giunte da Antje Jackelén, arcivescova della Chiesa di Svezia: “C’è un rischio imminente che l’iniziativa di Trump porti a ulteriori violenze non solo a Gerusalemme, ma in tutta la regione”. Già ieri si erano sollevate proteste da parte dei massimi vertici del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e della Federazione luterana mondiale (FLM).

È dell’ultima ora la notizia della convocazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU per domani, con un ordine del giorno su Gerusalemme, su richiesta di 8 Paesi, sui 15 membri, fra cui Regno Unito, Italia e Francia.