Roma (NEV), 20 dicembre 2017 – La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH) – Programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Scicli
Tre anni, sono passati tre anni da quando la Casa delle Culture ha aperto le sue porte, sembra incredibile. Quante persone e quante storie da raccontare. Quanti incontri straordinari, momenti di gioia e momenti di infinita tristezza. Sembra sia passata un’intera umanità tra queste stanze e corridoi. Un’umanità errante che ha chiamato una comunità a stringersi, per alleviare un dolore profondo, una pena che a volte non conosce sollievo. In alcuni periodi si è vissuto un via vai frenetico di ragazzi, sbarchi continui portavano anche la nostra casa a un’emergenza che sembrava non avesse fine. Dieci, quindici, venti ragazzi per volta arrivavano stremati, con il volto e il corpo segnati dalla fatica e dagli orrori vissuti durante le settimane e i mesi di quel viaggio disperato, la diaspora degli ultimi della terra. E tra questa umanità dolente, i più feriti, i più calpestati erano e sono quelli che trattengono dolori nell’anima, abusi, violenze inenarrabili, la riduzione a merce, a esseri senza diritti. In questi anni la Casa delle Culture, con il suo gruppo di operatori, volontari e amici, come l’impagabile staff di Terres des Hommes, è stata luogo di ricostruzione, riconciliazione e restituzione. Ricostruzione della fiducia attraverso la cura e la condivisione della sofferenza. Riconciliazione con un mondo che fino a quel momento aveva mostrato il volto più ostile. Restituzione della propria storia, della propria dignità. Un lavoro fatto attraverso la condivisione di una vita, il più possibile simile a quella di una famiglia, con l’attenzione a ogni suo singolo componente. Abbiamo vissuto e condiviso con le nostre ragazze e i nostri ragazzi la gioia dell’arrivo di un documento, le piccole feste di compleanno, la nascita di bambini! Abbiamo condiviso il dolore del racconto, dell’improvvisa morte di un genitore, dello smarrimento e della paura. Si sono vissuti momenti di angoscia per alcuni ragazzi che all’improvviso hanno scelto di continuare il loro viaggio, stanchi di aspettare che la lenta macchina della burocrazia italiana compisse il suo percorso. Momenti di tristezza negli addii ai ragazzi che proseguivano i loro iter nelle seconde accoglienze. Quanti abbracci e lacrime in questi anni! Quante volte ci siamo trovati, sulla porta di casa, ragazzi che volevano ritornare nella “Loro” Casa delle Culture. Un universo passato da una piccola città, Scicli, che in questi anni, dopo un’iniziale diffidenza, ha saputo vivere con normalità la presenza di queste giovani donne e ragazzi. Un’accoglienza, quella di Scicli, che si manifesta in modo semplice e concreto. Qualche giorno fa Warda, bambina siriana arrivata con la sua famiglia a Scicli attraverso i corridoi umanitari, ha vissuto il suo primo giorno di scuola. Warda è una bambina timida e schiva. La più grande di una vivace brigata di sei fratellini. Accompagnandola a scuola assieme al papà Ahmed, avvertivo come la sua timidezza la potesse esporre a un ulteriore senso di disagio. Entrati a scuola e individuata la nuova classe, ci siamo fermati davanti alla porta per parlare con la maestra; i nuovi compagnetti ci girano intorno incuriositi, mentre noi adulti parliamo un po’ dell’inserimento, della gradualità e di altre cose simili, una bambina si stacca dal gruppo di alunni, prende Warda per mano, la saluta e la porta in classe. L’integrazione non è un progetto studiato a tavolino, ma una sequenza di piccoli, semplici, gesti d’amore. Questo mi ha ricordato la piccola bambina di Scicli ed è questo, semplicemente questo, che proviamo a mettere in atto ogni giorno.