XVII Febbraio. A Roma va in scena “Il Barba e l’inquisitore”

La chiesa valdese di piazza Cavour celebra la Festa della libertà mettendo in scena lo spettacolo teatrale del pastore Giuseppe Platone, ispirato ai verbali di un processo inquisitoriale del XVI secolo. Il tema, racconta Platone, è la violenza della religione e la lunga strada verso una società aperta e inclusiva

Roma (NEV), 16 febbraio 2018 – Il teatro fa da sempre parte delle celebrazioni del XVII Febbraio, la Festa della libertà che ricorda l’emancipazione dei valdesi nel 1848. Ci si ritrova al culto attorno alla Parola, si accendendo i tradizionali falò, si riflette in conferenze e dibattiti sui temi dei diritti nella nostra società – e si va in scena.

In particolare, a Roma, sarà rappresentata “Il Barba e l’inquisitore” (sabato 17 febbraio, alle 18.30 nella sala di via Marianna Dionigi 59) una pièce teatrale scritta da Giuseppe Platone, pastore della chiesa valdese di piazza Cavour, sulla base degli atti di un processo inquisitoriale del XVI secolo.

Pastore Platone, come nasce questo pezzo teatrale?

Questa pièce è nata intorno al fascino che emana dalla figura del Barba medievale. I Barba erano dei predicatori itineranti che visitavano con regolarità, e non senza rischi, i gruppi valdesi che per tutto il medioevo sono sopravvissuti nella semi clandestinità. Il Barba di cui racconto si chiamava Pierre Griot, un predicatore alle prime armi, vissuto nella prima metà del XVI secolo. Lo spettacolo è l’adattamento dei verbali di un processo inquisitoriale condotto dal domenicano Jean de Rome. Uno scontro impari: tanto Griot è acerbo, forte solo della sua coscienza, quanto de Rome è un erudito, arma affilata al servizio del potere.

Perché ha scelto di mettere in scena proprio questo episodio?

Il processo a Griot è interessante sia da un punto di vista storico sia perché tematizza la questione, attualissima, della violenza nella religione. Griot venne catturato in Francia mentre rientrava dal Sinodo di Chanforan, l’assemblea che, nel 1532, determinò l’adesione dei valdesi alla Riforma protestante e pose sostanzialmente fine al valdismo medievale. Griot è personaggio a cavallo di due epoche. Soprattutto, fornisce durante il processo informazioni sull’assemblea di Chanforan che prima ci erano sconosciute. Per esempio, la documentazione disponibile sul Sinodo riguarda temi prevalentemente morali; da Griot invece sappiamo che ci furono animati dibattiti su temi teologici come la giustificazione per fede, il celibato o il purgatorio – evidentemente, all’epoca temi ancora aperti da non permettere la stesura di documenti ufficiali.

Se questo è il contributo storico, l’aggancio con l’attualità è dunque la violenza?

Goya, Il tribunale dell’inquisizione

Direi di sì: la violenza della religione, da cui in Occidente ci siamo emancipati con un lunghissimo e sanguinoso percorso (basti pensare alla Guerra dei Trent’anni), e che ancora echeggia nel nostro presente percorso da nuovi fanatismi, da massacri di innocenti compiuti nel nome di Dio. Nel processo, Griot è una vittima designata: è giovane, è reticente, cerca di giocare di astuzia, ma de Rome lo affronta con la Bibbia in una mano e il manuale dell’inquisitore nell’altra, ne confuta con erudizione le convinzioni teologiche, lo umilia e lo mette alle strette. Ma qui, messo sotto pressione, Griot è capace di esprimere una fede elementare ma solida, e una fedeltà che non abiura, ma affronta la morte. L’inquisitore è il volto nobile di un potere in realtà brutale e di una religione che, ieri come oggi, crea fanatismo, ignoranza, crudeltà, separazione.

Come si può combattere questa violenza che ancora esiste?

Il moderatore Eugenio Bernardini e papa Francesco nel tempio di Torino, 22 giugno 2015

In due modi. Prima di tutto, riconoscendo che noi europei proveniamo proprio da quella storia di violenza dei Griot e dei de Rome. È un riconoscimento ineludibile per costruire un futuro nuovo. Quando nel 2015 papa Francesco ha incontrato gli evangelici italiani nel tempio valdese di Torino, nel segnare un elemento di discontinuità nelle relazioni tra cattolici e protestanti italiani, ha tematizzato proprio questa questione: ha chiesto perdono a nome della chiesa cattolica per le sofferenze non umane inferte ai valdesi. Riconoscere e ripudiare quella storia è fondamentale per creare un futuro diverso.

Qual è la seconda strategia contro la violenza della religione?

Battersi per costruire una società inclusiva delle differenze, dialogica. Affermare che la religione è un cammino di ricerca e un incontro, e non l’affermazione di vecchie o nuove ortodossie. Mi preoccupa una fede priva di dubbi, che non sa problematizzare la realtà e l’esperienza. Personalmente devo dire di non aver mai imparato tante cose da quando mi occupo di dialogo interreligioso. Di questo si sono accorte anche le Nazioni Unite che proprio in questi giorni hanno organizzato a Vienna un incontro sul Piano d’azione che coinvolge i leader religiosi contro la violenza che può originare nelle stesse comunità di fede. Per noi protestanti italiani, il XVII Febbraio è una festa per rinnovare proprio questo: impegnarci per un’Italia che allarga i diritti di tutti, che sostiene la libertà di coscienza, di pensiero e di religione, e per una fede che ha tra i suoi frutti la pace e non la violenza.