Ginevra (NEV), 22 giugno 2018 – Papa Francesco ha reso omaggio ieri al Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) di Ginevra in occasione del 70esimo anniversario dell’organismo mondiale che comprende 350 chiese cristiane nei cinque continenti. La “visita ecumenica” ha avuto tre momenti significativi: la “Preghiera ecumenica” nella cappella del Centro ecumenico sulle alture della “Ginevra internazionale”; il pranzo all’Istituto ecumenico di Bossey nel Canton Vaud, con lo scambio dei doni; i “messaggi ecumenici” del pomeriggio nuovamente al quartier generale del CEC, con gli interventi di Olav Fykse Tveit, segretario generale del CEC, Agnes Abuom, moderatora del CEC, e papa Francesco.
La visita del pontefice, svoltasi senza particolari sorprese (non sono emerse domande sulla mancata adesione, né su quanto ancora divide le diverse confessioni), è servita anzitutto a consolidare un rapporto di collaborazione già esistente da tempo tra il Vaticano e il CEC in numerosi ambiti. Da parte di Bergoglio, una dimostrazione di riconoscimento e gratitudine per quanto realizzato in questi 70 anni dal CEC sul “cammino dell’unità visibile dei cristiani”.
Numerosi sono stati gli ospiti invitati a celebrare questo anniversario insieme ai rappresentanti delle chiese del CEC: esponenti del mondo delle religioni, delle istituzioni, delle Nazioni Unite e della società civile elvetica. In rappresentanza della Conferenza delle chiese europee (KEK) c’era il pastore Christian Krieger, recentemente eletto a presidente dell’organismo. Lo abbiamo intervistato.
Pastore Krieger, lei presiede un organismo di chiese in un continente tra i più secolarizzati. Qual è la sua prima reazione al termine di questa giornata?
Mi ha particolarmente colpito l’umiltà del papa venuto ad onorare il cammino percorso da questo organismo ecumenico in 70 anni. Il pontefice si è detto ereditario di questo cammino e ha riconosciuto l’audacia delle persone che lo hanno tracciato.
E poi mi ha colpito nel suo intervento pomeridiano il nesso che ha sviluppato tra ecumenismo ed evangelizzazione come approccio missionario. Il papa a questo proposito ha lanciato un appello: è il soffio missionario quello che potrà rinsaldare l’unità delle chiese.
Un tema dibattuto anche alla recente assemblea della KEK a Novi Sad in Serbia?
Sì, in quella sede è stata riconosciuta la necessità per le nostre chiese membro di rilanciare la dimensione missionaria, anche attraverso quell’ecumenismo dell’azione e del consolidamento delle relazioni ecclesiali.
Certo, di fronte alla sfida umanitaria postaci dai migranti e dai ‘nostri’ poveri, la strada dell’ecumenismo dell’azione sembra per ora essere quella più facilmente percorribile, rispetto a quella del dialogo ecumenico tra teologi ed istituzioni.
La moderatora Agnes Abuom ha annunciato una conferenza internazionale dal titolo “Migrazione, xenofobia e populismo” che il Vaticano e il CEC promuovono congiuntamente a Roma a settembre. Un’iniziativa frutto di una lunga collaborazione a favore dei migranti, per l’accoglienza del diverso, contro la cultura dell’odio. A questo riguardo, cosa si augura per il futuro?
Il mio auspicio è che gli stati in Europa, i loro dirigenti e le chiese europee possano ravvedersi affinché l’Europa torni ad essere una terra di accoglienza e ospitalità. Spero che l’esito di questa conferenza possa essere quello di un segnale forte per andare in questa direzione.
Una tappa importante a riguardo saranno le elezioni europee a maggio 2019, con un serio rischio di appiattire il dibattito politico sulla sola questione migratoria, pur sempre la vera sfida per l’Europa tutta, e non solo per l’Unione europea.
On the occasion of Pope Francis' visit to the #WorldCouncilOfChurches @Oikoumene, Brother Alois is in #Geneva today. On the picture: with Rev. Christian Krieger, newly elected President of @ceceurope.
Photo by @MarieRenaux / #WCC70 #PapeGenève pic.twitter.com/415AD44KGZ— Taizé (@taize) June 21, 2018