Populismo e religioni in Europa: costruire ponti o costruire muri?

Foto CEC/Miguel Trigo Moran.

Roma (NEV), 17 luglio 2018 – “Il pluralismo religioso è indispensabile ed indissociabile da una società democratica. Richiede un impegno senza ambiguità da parte dello Stato a favore della libertà di religione o di credo, e un mutuo rispetto e sostegno da parte delle religioni e delle comunità di fede”.

E’ questo il messaggio scaturito dalla 5a Summer School sui diritti umani organizzata presso il Centro ecumenico Los Rubios di Malaga (Spagna) dalla Conferenza delle chiese europee (KEK). Tema generale dell’incontro – che si è tenuto dall’8 al 12 luglio e ha visto oltre 40 partecipanti, provenienti da diverse aree geografiche del nostro continente – è stato il rapporto tra populismo e libertà religiosa.

“L’identità religiosa è ancora troppo spesso definita da ciò che divide le fedi e non dalla loro capacità di dialogo”, ha sottolineato il pastore Göran Gunner, moderatore del gruppo di lavoro sui diritti umani della KEK, che ha proseguito: “I populismi in particolare usano l’identità religiosa come strumento di divisione, ma i primi a venir danneggiati da questo atteggiamento sono proprio i credenti. Le chiese europee hanno tutti gli strumenti per essere costruttrici di ponti e così combattere il populismo, il razzismo e l’intolleranza”, atteggiamenti che, nel contesto europeo, Gunner vede legati tra loro.

La Summer School è stata anche l’occasione per discuter alcuni casi pratici riguardanti la libertà di religione in generale. Il pastore Alfredo Abad della Chiesa evangelica in Spagna, ha portato il caso di molti pastori protestanti spagnoli che, a differenza dei sacerdoti cattolici, non hanno diritto a una pensione di Stato. “Sebbene una sentenza della Corte europea dei diritti umani abbia condannato la Spagna per atteggiamento discriminatorio, ad oggi nulla è cambiato”, ha riportato Abad.

Tra gli oratori che hanno animato la Summer School: Ibrahim Salama dell’Ufficio del Commissariato ONU per i diritti umani; Simona Cruciani dell’ufficio ONU per la prevenzione dei genocidi; Dragana Filipovic, ambasciatrice del Consiglio d’Europa all’ONU; Sayed Razawi della Scottish Ahlul Bayt Society; Michal Zilberberg dello European Jewish Community Centre di Bruxelles.