Brasile. A un passo dalle elezioni

A pochi giorni dalle elezioni presidenziali abbiamo intervistato Werston Brasil, ex moderatore della Chiesa presbiteriana unita del Brasile

Foto Sergio Souza - Unsplash

Roma (NEV), 5 ottobre 2018 – “La società brasiliana è autoritaria e discriminante. Non è così cordiale come siamo abituati ad immaginare”.  Werston Brasil è stato moderatore della Chiesa presbiteriana unita del Brasile fino al 2017 e ci sorprende con questa affermazione, così lontana dall’immaginario a cui siamo abituati quando pensiamo al Brasile. “Viviamo in una società fortemente divisa dal punto di vista sociale, tra chi è stato sostenuto dalle politiche pubbliche dei governi progressisti di Lula e Dilma, in particolare la popolazione vulnerabile ed emarginata e chi, con un discorso di cambiamento e lotta alla corruzione, ha portato avanti una guerra contro il Partito dei lavoratori e il suo leader Lula, spesso sostenuto dai mezzi di comunicazione egemonici, tre o quattro corporazioni che in Brasile arrivano al 90% delle persone” afferma Brasil illustrandoci la situazione attuale.

Un continente nel continente – è il quinto stato del mondo per superficie totale -, il Brasile è uno stato federale che conta oltre 207 milioni abitanti. Il prossimo 7 ottobre nel paese si svolgeranno le elezioni per scegliere presidente, vicepresidente, i deputati del Congresso e i governatori. Si dovrebbe così concludere il lungo percorso di instabilità che ha accompagnato il paese sin dalla destituzione della presidente Dilma Rousseff del Partito dei Lavoratori (PT), nel 2016, dopo un’offensiva parlamentare-giudiziario-mediatica che aveva condotto all’apertura di un processo di impeachment per aver firmato, nell’esercizio delle sue funzioni, dei decreti per aprire crediti supplementari, e per il presunto ritardo nella restituzione dei fondi destinati al finanziamento di programmi sociali dal Tesoro alla Banca del Brasile.

“Non c’è alcun dubbio che nell’aprile del 2016 c’è stato un golpe portato avanti da Sérgio Moro (giudice dell’inchiesta Lava Jato, iniziata nel marzo del 2014 grazie alla dichiarazioni del pentito Alberto Youssef e che ha fatto emergere un sistema di tangenti all’interno dell’azienda petrolifera statale Petrobras, ndr) e Deltan Dallagnol (pubblico ministero, ndr) membro della Chiesta fondamentalista Batista do Bacacheri – prosegue Werston Brasil -. Dopo la destituzione di Dilma c’era l’ostacolo dell’ex presidente José Ignacio Lula da Silva che avrebbe potuto ricandidarsi ed era in vantaggio nelle intenzioni di voto, e così hanno lavorato per mandarlo in carcere. La prova che fosse una strategia politica è nel fatto che, dopo la sua incarcerazione, non abbiamo più sentito parlare di lotta alla corruzione”. Lula è stato condannato a 12 anni e un mese di reclusione con l’accusa di aver ricevuto in regalo un appartamento nella città di Guarujá, come tangente da parte dell’impresa edile Oas nell’ambito dell’operazione Lava Jato.

“Per i suoi detrattori è stata comunque una strategia molto rischiosa perché anche in carcere, e perseguitato, Lula ha ancora il 39% dei consensi nei sondaggi elettorali”, continua Brasil, anche se all’ex presidente non è stato permesso di candidarsi malgrado i tanti appelli arrivati persino dal Comitato per i diritti umani delle Nazioni unite che aveva chiesto alle autorità brasiliane di garantire i diritti politici dell’ex presidente autorizzando la sua candidatura e la partecipazione ai dibattiti elettorali in tv. In seguito a questa impossibilità il comitato esecutivo del PT ha proclamato Fernando Haddad il suo nuovo candidato alla presidenza. “La persecuzione nei confronti di Lula e del PT non ha le sue radici in Brasile – riflette Brasil -. Il nostro paese stava diventando troppo forte ed indipendente dal punto vista economico, avviando accordi commerciali con la Cina, con i BRICS (associazione di cinque paesi tra le maggiori economie emergenti, Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, ndr) e questo stava diventando una minaccia per gli Stati Uniti. Il Brasile ha il primato per la prospezione del petrolio in acque profonde, è terzo nel pianeta per la produzione agricola e l’allevamento, e per la costruzione di aeroplani; ha moltissime imprese che lavorano a livello internazionale. Da quando è iniziata l’offensiva contro il PT il nostro Prodotto interno lordo è sceso del 10%, abbiamo il 13% di disoccupazione che in un paese come il nostro vuol dire 50 milioni di persone che non hanno accesso a un’alimentazione completa”.

Secondo l’ultima inchiesta, realizzata dalla XP-Ipespe fra il 25 e il 26 settembre scorsi, Jair Bolsonaro, candidato dell’estrema destra, è in testa con il 28% dei voti mentre Haddad è cresciuto di 5 punti e ha raggiunto il 21%. I due candidati hanno rafforzato il vantaggio sugli altri: Ciro Gomes (centrosinistra) resta all’11%, Geraldo Alckmin (centrodestra) all’8% e l’ambientalista Marina Silva al 5%. Nelle proiezioni per il secondo turno, il 28 ottobre, solo Gomes ha i numeri certi per sconfiggere Bolsonaro (43 contro 35%). Haddad supera Bolsonaro, ma con un vantaggio (43 contro 39) che non permette una previsione certa.

“Stiamo vivendo un momento di grande polarizzazione – riflette Brasil -. Bolsonaro rappresenta quello che c’è di peggio del pensiero delle destre. Un’ideologia che è contro le minoranze, ignora le donne, perseguita i gay. In un paese che negli ultimi anni è riuscito a innescare dei cambiamenti sociali, i diritti delle persone nere, dei popoli originari, dei musulmani, delle persone appartenenti alla comunità LGBT sono messi a rischio. Per questo motivo piace molto agli evangelici pentecostali e al cattolicesimo tradizionale, realtà molto conservatici e retrograde”.

Bolsonaro è effettivamente una figura estremamente controversa; ex militare, ha scatenato indignazione per il suo pubblico apprezzamento alle dittature militari, alla tortura, e i suoi commenti omofobi e misogini: in una occasione ha detto a una collega parlamentare che non valeva neanche la pena di stuprarla e ha equiparato l’omosessualità alla pedofilia. Lo scorso 6 settembre è stato accoltellato durante un comizio in una piazza nella città di Juiz de Fora. Un attentato che rivela quanta tensione stia accompagnando la campagna elettorale.

“Per i pentecostali Bolsonaro rappresenta un ritorno al messianismo – dice Werston Brasil -: il movimento pentecostale si è sentito minacciato dalle politiche di inclusione degli anni passati, dall’attenzione a temi legati ai diritti civili come l’aborto e i diritti delle persone con diverso orientamento sessuale. Bolsonaro si è aggrappato a queste posizioni, perché è un discorso facile, semplice da tradurre. I cattolici integralisti sono più prudenti e si sono esposti meno. La nostra chiesa è stata più chiara e ha preso posizione per sostenere la democrazia e riaffermare il suo impegno perché questa si compia. In Brasile gli evangelici sono il 27% della popolazione; di questi, la maggioranza appartiene ai movimenti pentecostali; non credo che le persone che appartengono a questi movimenti siano di destra. Penso piuttosto che siano mal informati e mal guidati da pastori che li portano verso una posizione politica poco ragionata”.

A pochi giorni dal voto decine di migliaia di donne sono scese in piazza, sabato 29 settembre, per protestare contro Bolsonaro. ‘Ele não’ (Non lui) è stata la scritta visibile sui cartelli del movimento di protesta nato su Facebook da un gruppo che ha raccolto finora 4 milioni di persone e l’hashtag #EleNão imperversa su Twitter. “Credo che sarà difficile pacificare questo paese, anche se vincerà Haddad che sta portando avanti una campagna elettorale all’insegna della riunificazione e dell’uscita dalla sofferenza- conclude Brasil -. Si è ormai installata una cultura di odio e vendetta nei confronti di tutto ciò che rappresenta rinnovamento. Confido che nel secondo turno delle elezioni la situazione possa cambiare e che questo cambiamento sia a favore della democrazia e della popolazione brasiliana. Spero che si crei un’alleanza per la riconciliazione. Chiedo a Dio che il Brasile non debba attraversare un tempo di discordia e odio che minaccerebbe il nostro futuro”.