Finestra aperta. Venerdì santo delle donne

Pubblichiamo la nota di Cristina Arcidiacono, pastora evangelica battista, andata in onda durante la trasmissione “Culto evangelico” – rubrica “Finestra aperta”, in onda su Radio RAI 1, domenica 21 aprile 2019

Foto di Verne Ho - Unsplash

Roma (NEV), 21 aprile 2019 – Sindrome Italia: dal 2005 nei manuali di psichiatria è stata introdotta una nuova patologia, che riguarda, in particolare, donne ukraine, rumene, moldave, che dopo 10,15 anni passati in Italia ad assistere persone anziane malate tornano nel loro Paese trovando  situazioni devastanti: mariti, spesso alcolisti, che le hanno utilizzate come bancomat e si sono sentiti assolti dal cercare un impiego; figlie e figli cresciuti da nonni troppo anziani che avrebbero avuto a loro volta bisogno di cure. Depresse, inappetenti, insonni, ansiose, allucinate, ossessionate. Impazzite. Aspiranti suicide. Più di 200 donne all’anno vengono ricoverate in cliniche psichiatriche al ritorno dal loro servizio in Italia.

Il giornalista Francesco Battistini ha realizzato un reportage in una di queste cliniche, la più importante, l’Istituto psichiatrico Socola di Iasi, nella Moldavia rumena, dove sono ricoverati anche bambine e bambini che subiscono la depressione delle madri, dopo aver vissuto la deprivazione dell’amore. Molti di loro tentano il suicidio, a 7, a 13 anni, alcuni ce la fanno.

La vita delle donne che chiamiamo badanti riguarda la nostra vita. Quasi in ogni famiglia si vive l’esperienza dell’affidamento ad una donna migrante, delle persone anziane, spesso con malattie degenerative, che non trovano sostegno nel sistema sanitario e nelle politiche sociali. I dati dicono che 6 badanti su 10 non sono regolari. L’immigrazione clandestina in Italia è costituita soprattutto da donne che lavorano in nero nelle case degli italiani. La situazione è nota, ma davvero se ne parla molto poco, perché chiama ad un riconoscimento di responsabilità che sono primariamente politiche e sociali.

E’ il venerdì santo delle donne, che portano una croce d’ombra. Non la si vede. Croce di donne migranti, che lasciano un lavoro da analista di laboratorio, da veterinaria, da ingegnera perfino, pagato 240 euro al mese, per un impiego di cura e assistenza, in Italia: Elena dormiva nello stesso letto della persona di cui si doveva occupare, aveva diritto a sei mele alla settimana, nessun giorno libero.

E’ la croce anche di famiglie intere che non vogliono o non possono ricoverare i propri cari in strutture costose e spersonalizzanti.

E’ una croce portata insieme, da chi è malato e da chi deve lasciare la propria famiglia per prestare assistenza, ma sembra che invece questa condivisione venga rimossa e la dignità calpestata. Si tratta di un quadro certamente parziale, che chiama tuttavia alla fatica di restituire alle persone la loro dignità, non considerandole come oggetti, elettrodomestici da un lato o problemi da risolvere dall’altro.

Nel legno di questa croce abita già la Speranza di una vita diversa, nel momento in cui ci si riconosce “sulla stessa barca”, donne, come figlie, o nipoti, persone anziane, famiglie intere, chiamate a riconoscersi umanità.