Corea. Una catena umana per la pace

Grande partecipazione alla manifestazione indetta in Corea da società civile e chiese per riaffermare l’importanza del processo di pace

Foto: John C Park/CEC

Roma (NEV/Riforma.it), 2 maggio 2019 – 500.000 persone hanno intrecciato le loro mani, lo scorso 27 aprile, per formare una “catena umana della pace” lungo la linea di divisione tra le due Coree: 500 km di zona demilitarizzata diventata il centro di numerose manifestazioni a favore di una pace permanente tra Nord e Sud, come fortemente auspicato anche dai partecipanti a questa iniziativa. Si sono riuniti in concomitanza con due anniversari importanti, il centenario del “Movimento del 1° marzo”, una delle prime forme pubbliche di resistenza della Corea all’occupazione da parte del Giappone (1910-1945), e il primo anniversario della Dichiarazione di Panmunjom. L’accordo, firmato nell’aprile di un anno fa dai leader dei due stati della penisola, sanciva l’intenzione di concretizzare il percorso di pace e unificazione del Paese.

Le aspettative degli organizzatori della “catena umana” (alla quale ha partecipato, tra gli altri, anche il Consiglio nazionale delle chiese cristiane della Corea), il People’s Peace Chain Movement, parlavano di cifre assai più basse, 80.000-100.000, si può quindi parlare di un successo molto al di sopra delle aspettative.

L’appoggio alla manifestazione, che era arrivato nei giorni scorsi anche da parte del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) attraverso il suo segretario generale, Olav Fykse Tveit, è stato riconfermato dal presidente del CEC per l’Asia, pastore Sang Chang, che ha esortato tutte le chiese membro del CEC, e tutte le persone di buona volontà, a continuare a esprimere  la loro solidarietà con il popolo coreano: “Il CEC continuerà a lavorare con il popolo coreano per la pace permanente nella penisola”, ha affermato il giorno della manifestazione, come riporta un comunicato del CEC, che cita anche alcune parole degli organizzatori della “catena umana della pace”, che hanno raccolto la volontà del popolo coreano. “In 70 anni di separazione, abbiamo imparato che la pace è una responsabilità del nostro popolo […] e la pace che abbiamo ricostruito andrà a beneficio del mondo. Non abbiamo dubbi sul fatto che la sofferenza di 70 anni di divisione diventerà il fondamento e una risorsa per il progresso del mondo”. La speranza include anche un futuro senza armi atomiche, per una pace effettiva e non gravata da questa terribile minaccia. Gli stessi toni sono stati usati in un altro comunicato dal Consiglio nazionale delle chiese della Corea, che è membro del CEC, riflettendo sulla storia di sofferenza del popolo coreano e sull’importanza (e l’irreversibilità) di questo passaggio storico per andare verso il superamento degli antagonismi verso una “pace autentica [che] non arriverà dalle grandi potenze che circondano la penisola coreana” ma sarà possibile solo se “Dio ascolterà le nostre preghiere e  realizzerà una nuova storia di pace attraverso di noi”.