Roma (NEV), 15 ottobre 2019 – Vive in Canada Emilie Teresa Smith, pastora anglicana di origine argentina, che ha vissuto a lungo in Guatemala e Messico, ed è copresidente di SICSAL (Servicio Internacional Cristiano de Solidaridad con los pueblos de América Latina) un gruppo ecumenico che ha ramificazione in 28 paesi, dedicato ad Oscar Arnulfo Romero, aperto al dialogo e alla partecipazione per la giustizia, la pace e la solidarietà. Smith segue una comunità a Vancouver, in una delle zone più fragili della città. L’anno passato è stata arrestata e ha passato in carcere una settimana perché aver partecipato alle proteste delle popolazioni ancestrali contro l’oleodotto Trans Mountain Pipeline che ha distrutto un’area enorme del nord del Canada.
E dal Canada è arrivata a Roma per partecipare al Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre), che raccoglie vescovi da tutta la regione amazzonica e soprattutto leader indigeni di varie comunità.
“Come SICSAL siamo venuti qui a Roma per condividere questo momento fondamentale della chiesa universale. Lavoriamo ecumenicamente con le varie reti latinoamericane, come la Red Eclesial PanAmazonica (REPAM) e il Consiglio ecumenico delle chiese (CEC), cercando di avere una visione e una metodologia di lavoro più inclusive che possiamo. Siamo presenti per accompagnare le attività esterne al Sinodo ufficiale, momenti simbolici ma di grande forza che mostrano la nuova realtà che stiamo cercando di costruire” ha detto Smith all’Agenzia NEV.
Come una cristiana evangelica guarda a questo Sinodo e perché questo Sinodo e l’Amazzonia sono così importanti secondo lei?
Possiamo guardare a questo incontro come a un evento legato ad un’area specifica ma non è così. Si tratta di un evento molto importante perché ci dice di un modo di affrontare la nostra fede e di guardare il mondo. Stiamo vivendo un’epoca in cui è necessario che i cristiani si alzino in piedi e prendano parola e azione sul tema dell’ambiente. Le comunità indigene hanno mantenuto una visione della sacralità della terra e dell’acqua che noi dobbiamo recuperare. Anche la nostra fede ha molto da dire sul valore della vita e la nostra cosmovisione parla della terra come qualcosa di sacro. Dobbiamo quindi essere coraggiosi e svincolare la chiesa e il mondo da una visione mercantilistica che crede sia possibile inscatolare qualsiasi cosa e venderla. La creazione non è in vendita e questa è una lotta di tutti. Noi ringraziamo le comunità indigene che hanno saputo mantenere la sacralità della terra.
Cosa spera per questo Sinodo?
È arrivato il tempo di affrontare il nemico, il sistema che vuole distruggere la vita nel nostro pianeta. Già abbiamo esaurito le parole. Il mio desiderio è che riusciamo ad avere il coraggio di farci carico del compito che ci tocca come cristiani, di seguire Cristo e di seguire i veri discepoli di Cristo che sono i popoli amazzonici e originari, gli unici che ricordano che la terra è di Dio e non del mondo e che come cristiani dobbiamo prenderne coscienza ed agire.
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