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‘Migranti e religioni’, prima giornata del convegno ecumenico

Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, e Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, sono stati due tra i relatori dell'appuntamento che si è aperto ieri, 18 novembre, a Roma e che si concluderà il 20 novembre con l'intervento del pastore Luca Maria Negro, presidente della FCEI

Di
Agenzia NEV
-
19 Novembre 2019
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    Roma (NEV), 19 novembre – La fede dei migranti, oltre gli stereotipi e le fake news. Se n’è parlato ieri, lunedì 18 novembre, nella sessione di apertura del convegno ecumenico promosso dall’Ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso (UNEDI), dedicato quest’anno proprio al tema dell’intreccio tra religioni e fenomeni migratori.

    Monsignor Stefano Russo, segretario generale della Conferenza episcopale italiana (CEI) ha motivato la decisione di rivolgere lo sguardo ecumenico alle persone immigrate, come un “tema di grande attualità: occorre uscire fuori dal modo demagogico di affrontare tali questioni, andare al cuore di persone, di famiglie, che fanno percorsi di vita e che giungono in questa penisola nel cuore del Mediterraneo e che spesso purtroppo sono rappresentati e vivono come “scartati dalla società”.
     
    E il Mediterraneo è in qualche modo il fil rouge del dibattito successivo, che ha aperto i lavori del congresso, introdotto da monsignor Ambrogio Spreafico, presidente della Commissione episcopale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso della CEI, al quale sono intervenuti Andrea Riccardi, fondatore della comunità di S.Egidio e Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

    “Le migrazioni ci cambiano – ha esordito Riccardi – , terre un tempo omogenee si scoprono miste. L’impatto con il cambiamento getta a volte nel panico, sembra “la fine del mondo”: così è rappresentata ed evocata da alcuni. Si diffonde la “paura della storia” e la reazione è “chiudere la porta”, una reazione istintiva ma veramente inappropriata per una società che aspira ad avere un futuro. La nostra società è smemorata, confonde l’emozione con la realtà. A guardare la storia l’omogeneità non è stata sempre la caratteristica dei paesi europei”. Dunque le migrazioni come motore e fattore-chiave del mondo globalizzato.

    Prof.A.Riccardi @santegidionews: “le scelte di una parte del popolo contraddicono non solo i discorsi del Papa ma una visione cristiana dell’altro. Occorre dialogare con la paura della gente. La domanda è: riusciamo a farlo?” #migranti e #religioni, convegno ecumenico @nev_it pic.twitter.com/7V6oeBEePE

    — Mediterranean Hope (@Medhope_FCEI) November 18, 2019

    “L’immigrato – ha proseguito il fondatore di Sant’Egidio – è una figura del mondo lontano e globale che si installa sotto casa. Ma questa angoscia, questa paura meritano protezione e difesa. Gli italiani, gli europei, sentono di dover in qualche modo reinventare loro identità. Il punto è però che il dramma italiano non sono i migranti, il dramma non è l’invasione’, il dramma italiano è l’evasione di tanti giovani costretti a emigrare, la perdita di attrattività dell’Italia e la paura dell’altro, frutto quindi di un processo di introversione”.
    Che ruolo ha la chiesa, la chiesa cattolica in questo caso, in tale quadro? “Ha il dovere di proteggere gli spaesati. Prima di Papa Francesco anche altri pontefici hanno ricordato il dovere dell’accoglienza ma la nostra cultura è emotiva e senza memoria. E’ necessario allora dialogare con la paura della gente. La domanda è: riusciamo a farlo? Credo che dovremmo guardare alla scelta sovranista di tanti cristiani, perchè non l’abbiamo ancora analizzata. Ci vediamo spesso come sopra le parti, ma non è una questione politica, è una questione pastorale: le scelte di una parte del popolo contraddicono non solo i discorsi del Papa ma una visione cristiana dell’altro. Non è incoerenza, è una crisi culturale vera e propria e sorge per tanto una grande responsabilità per la chiesa: comunicare la speranza.
    I migranti spingono in sostanza a un serio rinnovamento pastorale a tutto tondo e non a una pastorale dei migranti. Il problema siamo noi, il problema è la gente comune: serve
    una chiesa che sappia far germinare una visione del futuro nel segno della speranza per questi italiani pessimisti e arrabbiati. I migranti ci chiamano a un ecumenismo solidale per superare la paura”.

    Ed ecumenico – “nato da un’amicizia e da un ecumenismo solidale contagioso” – è anche uno dei progetti umanitari citati dal professor Riccardi e al centro della prima giornata del convegno, quello dei corridoi umanitari, che vede in prima fila a realizzarli, ormai da quasi quattro anni, la Comunità di Sant’Egidio, la Tavola Valdese e la Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

    Paolo Naso, coordinatore di Mediterranean Hope, programma migranti e rifugiati della FCEI, docente e co-autore, tra l’altro, del libro ‘Il dio dei migranti’, ha presentato dieci “tesi” sulla tematica al centro del dibattito, dieci immagini, dieci chiavi di lettura da mettere nella “cassetta degli attrezzi” per leggere la realtà.

    “La prima di queste “fotografie” – ha spiegato Naso – è una grotta che sorge nell’isola di Lampedusa, un antico ricovero delle barche, dove è custodita una teca con gli oggetti religiosi trovati sui barconi”. Oggetti che non è scontato portare, oggetti che evidentemente sono vitali per chi è costretto a prendere la via del mare, per chi li mette nel proprio zaino prima di salire su un’imbarcazione e attraversare il Mediterraneo.
    “La seconda è nella zona di Castelvolturno, a San Giuliano, l’anomala presenza di chiese evangeliche pentecostali dai nomi più eccentrici, una rete diffusa di piccole chiese pentecostali, frequentate essenzialmente da credenti immigrati, in un luogo di deprivazione, piccole chiese come fari in un deserto… Queste due prime immagini ci parlano dell’intensità della religione in tante persone che migrano”. Un’intensità anche quantitativa: i numeri parlano di un futuro sempre più “migrante” per le religioni.
    “Negli ultimi 30 anni siamo passati da un vecchio e consolidato pluralismo religioso – ha confermato l’esponente valdese – a un nuovo pluralismo: nel 1931 l’ISTAT censì 157mila non cattolici in Italia, sono 400mila 30 anni dopo e nel 2019 vivono nel nostro Paese 5 milioni di non cattolici. Per questo motivo forse sarebbe il caso di operare una certa revisione del linguaggio: a partire dai termini ‘maggioranza’ e ‘minoranza’, ad esempio”.
    Quel che è certo è che la maggioranza, in questo caso sì, dei migranti – seconda tesi del ragionamento di Paolo Naso – “è cristiana ma non cattolica: tra le persone immigrate vi sono 2,7 milioni di cristiani, in maggioranza ortodossi, quasi un milione di cattolici, 300-400mila di protestanti, i buddisti sono 120mila, i sikh 80mila. Non c’è alcuna islamizzazione”.
    E il futuro? Il futuro non è eurocentrico…
    “Nei prossimi anni – ha aggiunto il docente –  la percentuale di cristiani declina in Europa, in America Latina e Usa aumenta, esplode in Africa, cresce in Asia. Il ‘centro di gravità’, per così dire, sarà la Nigeria: il cristiano tipico del XXI secolo sarà nero! E nel 2050 un cristiano bianco sarà un ossimoro o un’ipotesi remota, un po’ come un buddista svedese”.
    L’elemento della religione ha molteplici valori, in particolare per le popolazioni migranti. Secondo Naso, i migranti “nelle chiese, nelle comunità di fede, trovano un rifugio, al culto cioè si aggiunge sempre dimensione sociale, che costituisce per chi migra anche un luogo in cui trovare e avere rispetto”. E come vivono la fede queste persone costrette a lasciare il proprio paese d’origine? “I migranti portano una religiosità viva, dinamica e carismatica che si colloca in un quadro globale post secolare, che in Italia facciamo forse fatica a comprendere”.
    Generazioni nuove che devono subire in prima persona le banalizzazioni mediatiche: “il termine ‘fondamentalismi’, ad esempio – ha spiegato Naso – è un tic che ci arriva dai media, una gigantesca fake news. Un cristiano o un musulmano tradizionalista non è un fondamentalista; altra cosa ancora è il radicalismo”.
    La complessità, insomma, sembrerebbe quella che spesso sfugge nella rappresentazione del fenomeno migratoria fatta dai mezzi di comunicazione:  “i migranti perseguono modalità aggregative assai differenti: assimilazione per alcuni, ospitalità, integrazione (un percorso dinamico), identità nazionale, chiusura etnica; tutte queste opzioni non sono equivalenti”. Quel che è certo è il gap tra religioni di serie A e di serie B: “le comunità di fede degli immigrati non hanno accesso alle tutele legislative più solide previste dall’ordinamento italiano, per la grandissima maggioranza, operano di fatto come associazioni: dovremmo chiederci se questo scarto legislativo – che oltre tutto si riferisce a una norma del 1929 – abbia ancora un senso. Che la libertà religiosa non abbia l’ampiezza di quella degli italiani è sicuramente un problema”.
    Infine, anche in questo caso, l’imprescindibile ruolo delle chiese. “La penultima immagine è la pellicola dorata sui portoni delle chiese, la coperta termica che è stata messa da molti edifici religiosi, suggerita da un artista, a simboleggiare che le chiese sono state il principale argine dell’ondata xenofobica e razzista che attraversa l’Europa. Sono orgoglioso di questo nel mio ‘piccolo’ spirituale ma trovo questo un gravissimo fallimento, il più grande, di una cultura laica che non ha svolto questa funzione. La storia dei corridoi umanitari è parte di questo capitolo. E vogliamo ribadire che non abbiamo mai accettato il ragionamento che criminalizza le ONG: se un cristiano non prova a simulare il buon samaritano che cristiano è?”.
    In ultima analisi – decima “tesi” del valdese Paolo Naso -, il tema del dialogo inter religioso: “è ora di aprire una stagione non solo su come viviamo ma anche sulla pratica di giustizia, perché non aprire un laboratorio dialogo inter religioso proprio sulla giustizia?”. Do the right thing, ‘fa la cosa giusta’, per dirla alla Spike Lee, o come diceva il

    grande leader afroamericano e pastore battista Martin Luther King, ha concluso il coordinatore di MH, “La vigliaccheria chiede: è sicuro? L’opportunità chiede: è conveniente? La vana gloria chiede: è popolare? Ma la coscienza chiede: è giusto?”.

    Lo stesso appello ecumenico a un impegno comune a favore dei diritti dei rifugiati è arrivato dalla Grecia, attraverso le parole del vescovo Gabriel di Nea Ionia e Filadelfia, della Chiesa ortodossa di Grecia, che è intervenuto con un messaggio video rivolto all’assemblea. A seguire, come ultimo relatore della prima giornata del convegno, il vescovo Viktor di Baryshev, della Chiesa ortodossa ucraina (Patriarcato di Mosca).

    L’appuntamento ecumenico continua oggi, martedì 19 novembre, con 14 workshop tematici nel corso della mattinata, incluso uno su come “Costruire l’accoglienza”, tenuto dall’operatrice MH Marta Bernardini e da Daniela Pompei di S.Egidio, varie testimonianze e una preghiera ecumenica nel pomeriggio. Le conclusioni, con il pastore Luca Maria Negro, presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia, si svolgeranno domani, mercoledì 20 novembre. [BB]

    #Migranti e religioni. Russo (Cei): "no a lettura demagogica della realtà, aprirsi alle differenze" https://t.co/EGMTmYwje3@UCSCEI pic.twitter.com/pntS24bj5x

    — SIR (@agensir) November 18, 2019

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