Luce sul buio della frontiera

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). Questa settimana “Lo sguardo” proviene da Rosarno ed è stato scritto da Francesco Piobbichi.

disegno di Francesco Piobbichi

Rosarno (NEV), 20 novembre 2019 – Il sovraccarico di corrente al campo delle tende blu voluto dall’allora ministro Matteo Salvini la sera fa saltare la corrente, ogni venti minuti, con scadenza regolare. Così chi dopo la dura giornata di lavoro deve farsi la doccia rischia di rimanere al buio, mentre la temperatura dell’acqua si abbassa velocemente. E’ dura la vita del bracciante, dura, per chi riesce a starci in questo campo e durissima, per chi invece è costretto a stare negli altri campi, quello abbandonato dai governi dei Container, e quegli altri informali, come quello di Taurianova. Rosarno è il Mose della cultura dell’emergenza, una grande opera nella quale negli anni in tanti hanno mangiato, speculato, preso voti, ovviamente una grande opera che ha cambiato forma e luoghi e non ha risolto nulla, facendo pagare un caro prezzo ai braccianti, alla comunità locale, alle casse dello Stato.

L’esempio di questo fallimento è l’ultima baraccopoli abbattuta da Salvini che sorgeva a poche decine di metri dal campo delle tende blu, la cui bonifica costerà centinaia di migliaia di euro. Rosarno, San Ferdinando, Taurianova, e poi anche la zona dimenticata di cui nessuna parla di Sibari, diventano nell’inverno dei diritti gli unici luoghi di accoglienza nello sfruttamento, l’unica soluzione possibile in un paese che fa pagare il prezzo di chi è arrivato sano e salvo dal mare con la frontiera a vita sulla pelle. Ed è proprio l’intermittenza tra il buio della clandestinità e la luce della regolarizzazione che fa impazzire queste persone. E’ questo stato di perenne precarietà dovuto ai rimpalli burocratici tra gli organi amministrativi e la disapplicazione delle leggi vigenti che rischia di far diventare irregolari centinaia di persone, che rischia di far prevalere il senso d’impotenza.

Le luci dei giacchetti dei braccianti di Rosarno che viaggiano al buio mentre tornano di notte dal lavoro.

Ed il buio a Rosarno non è solo nei campi dove i braccianti dormono, è anche nelle strade senza lampioni che percorrono con bici senza luci dove spesso vengono investiti, ed è nei campi dove si raccoglie, nel lavoro nero e grigio. Ci siamo detti fin dall’inizio che accendere le luci a Rosarno voleva dire andare oltre il singolo intervento, ma attivare una forma di solidarietà attiva molto più estesa di noi. Legare chi in questo territorio ci prova a costruire una via differente con tutti quelli che in qualche modo vorranno esserne coinvolti facendo qualcosa di concreto. Noi abbiamo in mente di costruire un esempio di cambiamento attivando competenze e risorse come metodo d’intervento, accendendo così una piccola luce per uscire dalla cultura dell’emergenza come abbiamo fatto con i corridoi umanitari, nell’intervento di comunità a Lampedusa, o con la Casa delle Culture a Scicli.

Noi sfidiamo il buio della frontiera nel mare e sulla terra, pensando che i diritti valgono per tutti e non per le singole categorie di persone, per questo illuminare di luce Rosarno non vuol dire semplicemente parlare di migranti, ma far vedere anche una Calabria impoverita dove l’unica via per sfuggire alla disoccupazione è l’emigrazione di tanti giovani che vorrebbero vivere invece nella terra dove sono nati.