Pastorale clinica. Sergio Manna: capire il singolo essere umano

La cura pastorale non è una prerogativa esclusiva dei pastori o dei cappellani. Molte persone prestano un prezioso servizio di visite negli ospedali, nelle case di riposo o a casa di persone anziane, malate o sole. A gennaio partirà un corso di formazione in Val Pellice (Torino). Scadenza iscrizioni: 20 dicembre

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Roma (NEV), 13 dicembre 2019 – Parte a gennaio il corso di formazione dedicato alla pastorale clinica promosso dalle chiese valdesi della Val Pellice, in provincia di Torino. L’Agenzia NEV ha raggiunto il pastore Sergio Manna, cappellano clinico e docente di pastorale clinica presso la Facoltà valdese di Teologia di Roma, unico supervisore protestante in Italia, che curerà il corso.

Pastore Sergio Manna, cos’è la “Pastorale clinica”?

In realtà a livello internazionale si parla di “Clinical pastoral education” (CPE) e significa formazione pastorale clinica. Questa disciplina nasce negli anni ’20 del secolo scorso negli Stati Uniti d’America, per iniziativa del pastore presbiteriano Anton Theophilus Boisen (1876-1965) che, sulla sua pelle, aveva fatto esperienza dei limiti della cura pastorale tradizionale. Boisen era stato ricoverato per episodi psicotici senza trovare il necessario conforto. Decise quindi di mettersi a studiare il suo stesso caso e quello di tanti pazienti, sviluppando un programma a partire dagli apporti positivi che potevano venire dalla psicologia e dalla psicanalisi.

Boisen realizzò che, come pastori, si usciva dalla facoltà di teologia avendo imparato a leggere e a interpretare il testo biblico, ma si chiese: abbiamo mai imparato a leggere il “living human document”? Il “documento umano vivente”? Ogni essere umano che viene al mondo va interpretato e capito. Boisen quindi iniziò un programma di seminari multidisciplinari con esperienze sul campo, organizzando corsi in ospedale con parti teoriche e parti operative.

Come funziona la Formazione pastorale clinica?

Il lavoro iniziò negli ospedali psichiatrici e si è poi allargato agli ospedali generali, con il coinvolgimento di diverse figure, medici, infermieri e psicologi, oltre che teologi. In alcuni paesi del mondo per diventare cappellani ospedalieri è obbligatorio aver seguito ben tre corsi di tre mesi ciascuno di CPE; la formazione non si svolge nelle aule di teologia, ma negli ospedali, dove vengono svolti tirocini di cappellania nei reparti, lavorando anche su se stessi sotto supervisione, sui propri punti di forza e di debolezza. Dopo 4 unità di tre mesi, praticamente un intero anno di studi e lavoro sotto supervisione, si diventa cappellani clinici, se approvati. Per diventare supervisori in CPE occorrono invece almeno tre anni, come per un dottorato. In Italia ci sono due supervisori cattolici dell’ordine camilliano, in età da emeritazione. Io sono purtroppo l’unico supervisore protestante operante in Italia. La certificazione è un processo molto lungo che si può fare, al momento, solo all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni, ma anche in Germania, in Svizzera e credo anche in Francia.

Il corso proposto a gennaio a chi è rivolto?

Si tratta di una formazione di base pensata per visitatori e visitatrici locali, membri di concistori o consigli di chiesa, ma anche persone delle nostre chiese che vogliono fare volontariato o semplicemente imparare ad affinare l’ascolto. La cura pastorale non è infatti una prerogativa esclusiva dei ministri ordinati, dei pastori o dei cappellani. Molte persone prestano un prezioso servizio di visite negli ospedali, nelle case di riposo o a casa di persone anziane, malate o sole. Spesso queste persone sentono il bisogno di un’adeguata formazione per rispondere ai bisogni di chi visitano.

Il pastore Sergio Manna

E il corso rivolto agli studenti della facoltà?

Circa una volta all’anno, in base alle esigenze organizzative, svolgo il corso dedicato agli studenti della facoltà che intendono fare i pastori o i diaconi. Da oltre 15 anni è obbligatorio, prima della consacrazione, il percorso CPE, che aiuta a formare all’ascolto e alla cura. Inizialmente questo corso si svolgeva a Napoli, presso l’Ospedale evangelico Villa Betania, poi a Pomaretto (Torino) e da un po’ di anni si fa a Genova Voltri presso l’Ospedale Evangelico Internazionale (OEI).

Quali sono, secondo lei, gli elementi fondamentali della pastorale clinica?

Sicuramente il lavoro profondo che si fa su se stessi. Tutte le nostre esperienze esistenziali, soprattutto quelle traumatiche, possono essere un ostacolo nell’aiutare il prossimo. Oppure possono essere una risorsa, ma dobbiamo averle elaborate. Per questo la supervisione, individuale e di gruppo, è fondamentale. Dobbiamo capire che si va in ospedale per imparare. È un percorso impegnativo anche dal punto di vista emotivo, perché tornano a galla ferite e debolezze. Come pastori, generalmente, quando fai una visita pastorale più o meno sai cosa aspettarti, perché hai telefonato prima, sei stato chiamato, bussi a una porta e vieni riconosciuto. Ma se sei in un reparto ospedaliero, non hai nessuna garanzia di essere accolto. È una sfida forte, in cui bisogna imparare a rapportarsi con persone per le quali sei un estraneo. Questa esperienza poi ti aiuta anche nel lavoro pastorale, perché ti confronti con situazioni limite, anche con il rifiuto. È una lezione di profonda umiltà.

Possiamo parlare di limiti dell’empatia?

Carl Rogers (1902-1987), padre della psicologia umanistica (conosciuta anche come “Terza Forza”) ha un approccio che può essere molto importante per la pastorale clinica. Rispetto all’empatia Rogers dice che quando si vive una relazione di cura non bisogna mai perdere la dimensione del “come se”. Se ti metti nei panni dell’altro, devi ricordare che non sei e non sarai mai l’altro; quindi proverai a capire come l’altro si sente “come se fossi l’altro”. Se voglio aiutare una persona che sta nella fossa e mi butto nella fossa, poi saremo in due a dover essere aiutati. Insomma, bisogna preservare la dimensione critica e la dimensione esistenziale.


Fra gli argomenti del corso promosso sulla clinica pastorale in Val Pellice: l’ascolto come fondamento della cura, esercizi d’ascolto per imparare a riconoscere ed esprimere i sentimenti, emozioni, stati d’animo sia di coloro che visitiamo che nostri, il verbatim come prezioso strumento d’apprendimento, la diagnosi spirituale, riconoscere bisogni e problemi spirituali delle persone, le risorse spirituali, uso o abuso della Bibbia e della preghiera, la morte e il morire, cura e accompagnamento dei morenti, valutazioni finali e prospettive future.

Il corso è aperto a tutti e si terrà presso la sala Beckwith della chiesa valdese di Luserna San Giovanni, dalle 20.30 alle 22.30. Per informazioni e iscrizioni rivolgersi entro il 20 dicembre alla sovrintendente Debora Michelin Salomon. Il pastore Manna sarà a disposizione anche per eventuali colloqui individuali di supervisione. Per ulteriori INFO clicca QUI oppure scrivere a d.michelinsalomon@hotmail.it o telefonare al numero 347 5079441.

Ulteriori approfondimenti si trovano nel libro di Sergio Manna edito da Claudiana L’ascolto che cura. La Parola che guarisce / Introduzione al counseling pastorale.