Contro le “grida pazze e selvagge” dell’antisemitismo

A Roma, gli evangelici Luca Maria Negro, Paolo Ricca e Daniele Garrone si sono confrontati con Noemi Di Segni, presidente delle comunità ebraiche italia, sul tema "Contro l'antisemitismo e la deriva dell'odio". L'incontro si è svolto nell'ambito della Settimana della libertà 2020, promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia.

Da sinistra, Daniele Garrone, Noemi Di Segni, Paolo Ricca, Luca Maria Negro

Roma (NEV), 24 febbraio 2020 – Il 17 febbraio del 1898, in occasione del cinquantenario delle Lettere patenti con cui Carlo Alberto concesse i diritti civili ai suoi sudditi valdesi – e un mese dopo anche agli ebrei -, il pastore Ernesto Giampiccoli, ricordava “i cuori generosi” di quanti avevano sostenuto i valdesi nella loro battaglia di libertà: Massimo e Roberto D’Azeglio come pure molti vescovi e sacerdoti cattolici liberali piemontesi. Una solidarietà che spingeva il pastore a dire: “Teniamoci noi pure pronti a sostenere chi è ingiustamente oppresso e vilipeso”.

Con queste ultime parole, il pensiero di Giampiccoli andava alle comunità ebraiche. Un mese prima, il 13 gennaio 1898, si era riaperto in Francia il processo Dreyfus grazie al famoso “J’accuse” di Émile Zola. Se anche in Italia si fossero levate le “grida pazze e selvagge” dell’antisemitismo, i valdesi sarebbero stati al fianco degli ebrei.

Questo episodio è stato raccontato dal professor Daniele Garrone, docente di Antico Testamento alla Facoltà valdese di teologia, tra gli oratori e gli organizzatori di “Contro l’antisemitismo e la deriva dell’odio”. L’incontro, promosso nell’ambito della Settimana della Libertà 2020 promossa dalla Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), si è tenuto domenica 23 febbraio a Roma, nell’aula magna della facoltà valdese gremita da circa 150 persone.

“Gli evangelici non hanno santi. Tuttavia, in alcuni paesi e cittadine delle Valli valdesi del Piemonte la festa del XVII Febbraio è equiparata a quella patronale. Se dunque i protestanti italiani hanno una patrona questa è la Santa libertà”, ha esordito il pastore Luca Maria Negro, presidente della FCEI.

Negro ha voluto sottolineare una coincidenza di date. Nel 1848 gli ebrei ottennero i diritti civili il 29 marzo. Alcuni secoli prima, nel 1558, ma sempre il 29 marzo, veniva bruciato in piazza castello a Torino, il pastore valdese Goffredo Varaglia. Oggi Varaglia è ricordato da una placca d’ottone, posta nel luogo del suo martirio. A modo suo è come una delle pietre d’inciampo che nelle vie di numerose città italiane ricordano i nomi e le vicende di tanti ebrei deportati nei campi di concentramento.

Il teologo valdese Paolo Ricca ha invece definito l’antisemitismo come “una malattia endemica, cioè tipica e cronica, del cristianesimo”. Se è vero che l’antisemitismo è stato teorizzato da Wilhelm Marr solo nel 1879, tuttavia quest’ultimo ha trovato nel bimillenario il terreno in cui crescere e le categorie con cui esprimersi. “Per guarire da questa malattia è necessario un rimedio radicale: la conversione. Non la conversione degli ebrei, ma la conversione dei cristiani”.

Ricca ha anche aggiunto che il rifiuto degli ebrei è anche il rifiuto del Dio d’Israele, “il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe, quel Dio che ti conosce così bene da chiamarti per nome”, un Dio che ama e ci chiede di amare, ma trova solo l’indisponibilità di chi vuole essere amato senza amare a sua volta.

Al centro, Noemi di Segni

Ai tre esponenti evangelici ha risposto Noemi Di Segni, presidente dell’Unione delle comunità ebraiche italiane (UCEI). “L’antisemitismo – ha detto Di Segni – è una dorsale lungo la quale si sono stratificati secoli e secoli di storia”. Il compito di oggi è capire perché “dopo la fine della Seconda guerra mondiale, dopo Auschwitz riemerga così virulento”.
Di Segni ha indicato tre linee di azione percorribili. La prima è quella dell’alleanza delle esperienze valoriali delle religioni, la valorizzazione e la condivisione del dialogo e del senso di comunità.

La seconda è la linea della coerenza che impone, per esempio, di sfidare il negazionismo in ogni sua forma, di denunciare le parole d’odio non come esercizio di libertà di espressione, ma aggressione e derisione: “Sono parole che generano oblio”. Allo stesso modo, ha aggiunto Di Segni, la linea della coerenza impone di non accettare l’idea che gli ebrei stessi siano causa del loro stesso male, né di permettere che il linguaggio della shoah venga usato contro gli ebrei e contro lo Stato d’Israele, definendolo come nazista.

La terza linea è l’azione. Ampiamente individuata anche dagli altri oratori, quella culturale ed educativa. In ambito cristiano questo può voler dire far sì che le tante dichiarazioni contro l’antisemitismo sottoscritte dai rappresentanti di chiese e istituzioni religiose possano diventare patrimonio comune dei semplici credenti.