Coronavirus. La responsabile speranza della chiesa valdese di Roma

La raccolta di opinioni, informazioni, riflessioni dell'Agenzia NEV su come le chiese stanno vivendo l'emergenza coronavirus sbarca a Roma

Roma (NEV), 13 marzo 2020 – Prosegue il viaggio dell’Agenzia NEV – Notizie evangeliche per raccontare come le chiese stanno affrontando l’emergenza Coronavirus. Oggi abbiamo incontrato il pastore Marco Fornerone della chiesa valdese di piazza Cavour.

Siete una chiesa che si trova nel centro della città di Roma, un punto privilegiato per osservare cosa sta accadendo nella città.

C’è stata un’evoluzione interessante. Fino ad alcuni giorni fa mi stupivo per il numero ancora consistente di persone nella città mentre nel giro di quattro giorni si è arrivati gradualmente a una diminuzione significativa. In alcuni ore la città ha un aspetto spettrale. Il nostro quartiere è pieno di uffici più che di residenze private; durante il giorno si vede ancora un po’ di movimento, ma la sera e nei fine settimana c’è molto silenzio.

Come state vivendo questo momento di pausa e come vi state organizzando?

Siamo stati tra i primi a rallentare e poi sospendere le attività della chiesa. Già domenica scorsa abbiamo dovuto sospendere il culto in extremis (mi ha accompagnato solo una parte del concistoro) e lo abbiamo trasmesso via streaming; è questo un servizio che abbiamo da tempo e che stiamo mantenendo. Domenica prossima sarà la prima volta che celebrerò il culto completamente solo; mercoledì sera abbiamo tenuto lo studio biblico via streaming ed è stato un momento molto particolare perché di solito è anche un’occasione di convivialità. Stiamo ragionando su come riuscire a mantenere le altre attività sospese e proporre lo studio biblico in streaming più spesso. Anche i monitori sono al lavoro per proporre qualche attività ai bambini. Sto anche intensificando i contatti telefonici con i membri più fragili della comunità per mantenere il legame, sentire come stanno e capire come poter aiutare. La cosa positiva è che c’è un’attenzione come comunità ai più anziani; sono varie le persone che si stanno prendendo cura di loro. E’ paradossale come questa situazione ci impedisca di fare molte cose me ci permetta di dedicarci a tante altre, soprattutto fare attenzione ad aspetti che spesso trascuriamo.

Che significato ha per te fare il pastore in questo momento?

Da una parte c’è il fatto di partecipare a questa responsabilità di cura reciproca e dall’altra quello di passare attraverso un’esperienza che ci costringe a renderci conto dei nostri limiti, della nostra fragilità, che ci porta a ragionare su ciò che è fuori dal nostro controllo.

Ho sentito la responsabilità di accompagnare la mia comunità nella presa di coscienza di quello che stava accadendo. Nelle prime fasi infatti le persone tendevano a ridimensionare, un rifiuto della realtà legato alla paura. Il senso, o parte del senso, di quello che faccio è quello di essere lucidi, non nascondere la realtà e i nostri limiti per non venirne inghiottiti.

Un membro del concistoro ha utilizzato una bella espressione per descrivere i sentimenti che ci stanno attraversando, ha parlato di responsabile speranza.

Dove si trova Dio, in tutto questo?

Credo che Dio sia la sorgente da cui può arrivare la forza per questa responsabile speranza.

E’ il luogo in cui ritrovare quelle risorse che ci possono aiutare a rimanere lucidi e concentrati per affrontare con fiducia, pur nella consapevolezza della complessità della situazione, queste cose più grandi di noi.

La Parola è centrale nella vita dei protestanti. Ci consigli qualcosa da leggere che ci aiuti ad attraversare questo tempo di turbamento?

Nell’ultimo studio biblico abbiamo riletto il racconto del diluvio dove è proposta l’immagine di un Dio che non dobbiamo temere ma che nonostante tutto accompagna l’umanità con tutti i suoi difetti. Un altro testo a cui sono molto legato  è Isaia 43, “Ma ora così parla il Signore, il tuo Creatore, o Giacobbe, colui che ti ha formato, o Israele! Non temere, perché io ti ho riscattato, ti ho chiamato per nome; tu sei mio!”; e anche la Seconda Lettera ai Corinzi 4:8-10, “Noi siamo tribolati in ogni maniera, ma non ridotti all’estremo; perplessi, ma non disperati; 9 perseguitati, ma non abbandonati; atterrati ma non uccisi; 10 portiamo sempre nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo”.