George Floyd e il razzismo negli Stati Uniti

Dopo la morte del 46enne monta la rivolta, non solo a Minneapolis ma in molte altre città. Anche le chiese dicono la loro, e c'è chi ricorda il "gigante buono" come un uomo di pace e un fervente credente

Roma (NEV), 29 maggio 2020 – “Con la violenza puoi uccidere colui che odi, ma non uccidi l’odio”, diceva Martin Luther King, pastore battista e storico leader per i diritti civili negli Stati Uniti. E anche, in una sua lettera, scritta mentre era detenuto nel carcere di Birmingham, in Alabama: “Ho raggiunto la deplorevole conclusione che il maggior ostacolo dei neri nel loro camminare a passi lunghi verso la libertà non è il White Citizen’s Counciler o il Ku Klux Klanner, ma i bianchi moderati che sono più legati all’ordine che alla giustizia. Chi preferisce una pace negativa che è l’assenza di tensione verso una pace positiva che è la presenza della giustizia; chi dice costantemente: “sono d’accordo con te verso l’obiettivo che stai perseguendo ma non sono d’accordo con te con i tuoi metodi di azione diretta”; chi paternalisticamente crede di poter definire una scala temporale per un’altra libertà degli uomini; chi vive col concetto mitico del tempo e chi costantemente avvisa il Negro di aspettare una “stagione più conveniente”. Una comprensione superficiale della gente di buona volontà è più frustrante della completa incomprensione della gente di cattiva volontà. La tiepida accettazione è molto più sconcertante di un aperto rifiuto”.

L’odio razziale negli Usa, a distanza di anni dalla lezione di MLK, non sembra mai morto. Il caso di George Floyd, il 46enne nero fermato dalla polizia e morto a seguito del fermo – steso a faccia a terra, nonostante fosse disarmato, con il poliziotto che lo tiene immobile con il ginocchio sul collo per circa otto minuti – ha riportato in prima pagina le discriminazioni e le violenze subite dagli afroamericani e sta letteralmente infiammando il Paese. Le proteste dilagano, non solo a Minneapolis, dove si è consumato il fatto, ma anche in altre città.

Intanto si moltiplicano i ricordi della vittima, per la quale non solo la comunità afroamericana ma anche buona parte della società civile nel suo complesso chiede a gran voce verità e giustizia. Floyd, dicono molti conoscenti, era un “gigante buono”, un uomo di pace, un credente, come riporta quest’articolo. E dell’eredità evangelica di “Big Floyd” parla anche un contributo pubblicato proprio oggi dal quotidiano online Riforma, a cura di Marta D’Auria.

Anche le chiese riformate stanno facendo sentire la loro voce – in quest’altro articolo una serie di dichiarazioni di rappresentanti religiosi sui fatti di Minneapolis. E’ il caso, tra gli altri, di William Barber, noto pastore protestante americano e attivista politico, che ha scritto, ieri, 28 maggio: “un uomo nero senza pistola finisce ucciso. Facinorosi bianchi entrano in uffici pubblici armati e non vengono nemmeno arrestati”.

Nel frattempo, secondo quanto riporta l’Ansa, gli ex poliziotti coinvolti nella morte di George Floyd non stanno collaborando con gli investigatori e si sono fino ad ora avvalsi della facoltà di non rispondere. Ancora non sarebbe stato emesso alcun capo di accusa verso i quattro agenti licenziati.

Il presidente Donald Trump, dal canto suo, in due tweet (di cui uno oscurato dal social network perchè non rispetta la policy sull’incitazione alla violenza), ha tuonato contro i “teppisti” che disonorano la memoria di George Floyd ed annunciato la volontà di sedare le proteste manu militari: quando inizia il saccheggio, inizia la sparatoria (when the looping starts, the shooting starts).

Qui alcuni approfondimenti sulle proteste di Minneapolis: una gallery fotografica della CNN; “Cosa sappiamo fino ad ora”, articolo del Guardian.

The following two tabs change content below.