Quando le vite dei neri non contano

Undici Arcivescovi e sessanta vescovi hanno firmato una dichiarazione della Rete ambientale della Comunione anglicana sul razzismo ambientale

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Roma (NEV), 1 luglio 2020 – “La vita dei neri è colpita in modo sproporzionato dalla brutalità della polizia; COVID-19 travolge le comunità più vulnerabili che non possono socialmente distanziarsi; le discariche di rifiuti tossici sono collocate accanto alle comunità povere dei neri; gli indigeni sono costretti a lasciare la loro terra”.

Inizia così la dichiarazione della Rete ambientale della Comunione anglicana (ACEN) sul razzismo ambientale, un modo per riconnettersi alle lotte globali di questi giorni ma sottolineare come il cambiamento climatico colpisca in modo più forte proprio le comunità più fragili, le vite dei neri.

“Il mondo è lento a rispondere al cambiamento climatico, – continua la dichiarazione – aggrappato a un sistema economico sempre più precario e ingiusto. Sono soprattutto le vite dei neri a risentire della siccità, delle inondazioni, delle tempeste e dell’innalzamento del livello del mare. La risposta globale ritardata all’ingiustizia climatica dà l’impressione che #levitedeinerinoncontano. Senza un’azione urgente, infatti, continueranno ad essere le più colpite, espropriate delle loro terre, e costrette a trasformarsi in rifugiati climatici.

Per combattere l’ingiustizia ambientale bisogna combattere l’ingiustizia razziale, dice la Rete ambientale della Comunione anglicana, che cita le parole dell’arcivescovo Desmond Tutu: “Se siete neutrali in tempi di ingiustizia, avete scelto di stare dalla parte dell’oppressore”.

La dichiarazione va avanti richiamando l’attenzione sull’impatto del razzismo ambientale sulle popolazioni indigene decimate dagli effetti della colonizzazione: tribù di persone che, nei primi decenni della colonizzazione, sono state schiavizzate e annientate da condizioni dure e da malattie per le quali non avevano immunità.

“Dai Gwich’in del Circolo Polare Artico alle numerose tribù del bacino del Rio delle Amazzoni, gli indigeni continuano a subire un razzismo intenso e sostenuto.

Strutture economiche inique e industrie estrattive sottopongono le popolazioni indigene e le tradizionali comunità nere a un’espulsione forzata e violenta dalle terre con le quali sono state interamente connesse per secoli. Eminenti leader indigeni – difensori della terra – di tribù come i Guarani in Brasile, sono stati assassinati e le tribù terrorizzate” continua il testo.

L’ACEN richiama l’attenzione anche sul crescente e allarmante aumento del numero di persone che si trasforma il rifugiato a causa del cambiamento climatico: “si stima che oggi nel mondo ci siano 40 milioni di rifugiati climatici e che entro il 2050 questo numero potrebbe raggiungere il miliardo. Le comunità sono state costrette ad abbandonare le loro terre tradizionali a causa della siccità e dell’innalzamento del livello del mare. Il cambiamento climatico può portare a un aumento dei conflitti, poiché le comunità agricole sono costrette a lasciare le loro terre per raggiungere le città.

In America centrale migliaia di indigeni sono stati trasformati in rifugiati climatici. Una volta arrivati negli Stati Uniti, sono spesso soggetti a una doppia discriminazione, prima per il fatto di essere rifugiati e poi come persone la cui prima lingua è una lingua tribale piuttosto che lo spagnolo.

Gli abitanti delle isole del Pacifico, in luoghi come Tonga e Fiji, devono affrontare la distruzione delle loro case e delle loro culture a causa dell’innalzamento del livello del mare. 

Anche in mezzo ai paesi più ricchi i neri subiscono il peso del razzismo ambientale. Le discariche di sostanze chimiche tossiche sono situate vicino alle comunità nere più povere. Queste comunità diventano deserti alimentari – senza accesso a cibo nutriente e acqua sicura” si legge nel testo.

Per tutti questi motivi, per dimostrare che #levitedeinericontano, ACEN chiede di agire con urgenza e determinazione per la giustizia climatica.