Chiese e lockdown. Tre elementi di convergenza

Il pastore Luca Baratto su RAI Radio 1, nella rubrica “Parliamone insieme” dopo il Culto evangelico, parla della “scuola estiva” delle Chiese europee. Ne emergono alcune domande, fra cui: qual è il ruolo pubblico delle chiese?

"La Cena del Signore" dell'artista ucraino Vladimir Sakhnenko

Roma (NEV), 13 luglio 2020 – Riproponiamo l’intervento del pastore Luca Baratto per la rubrica “Parliamone insieme” andato in onda il 12 luglio nel programma radiofonico di RAI Radio 1 Culto evangelico.

Le riflessioni giungono dalla 7^ edizione della scuola estiva “Le sfide per i diritti umani al tempo del covid-19” organizzata dalla Conferenza delle chiese europee (KEK) insieme alla Chiesa evangelica in Germania (EKD), cui hanno partecipato anche il presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), pastore Luca Maria Negro (fra i relatori) e lo stesso Baratto.


Oggi vorrei parlare insieme a voi di come le chiese europee hanno vissuto questi mesi di emergenza coronavirus. Lo faccio sulla base di un seminario online su questo tema, organizzato dalla Conferenza delle chiese europee, un organismo ecumenico che raggruppa le chiese anglicane, ortodosse e protestanti del continente. A mio modo di vedere, il seminario ha fatto emergere almeno tre elementi di convergenza.

Il primo è che praticamente tutte le chiese del continente hanno accettato le restrizioni imposte loro dai governi, in nome della responsabilità verso la vita e la salute degli altri. Alcuni l’hanno fatto convintamente, per cui chiudere i luoghi di culto è stato un gesto di responsabilità; altri un po’ mugugnando – in tempi di difficoltà, ha detto qualcuno, le chiese dovrebbero restare aperte come segno di speranza. Tutti però hanno accettato le limitazioni imposte sulla base dell’eccezionalità del momento, della proporzionalità dei provvedimenti e della loro temporaneità.

Il secondo elemento di convergenza è l’emergere nel periodo di lockdown di questa domanda: ora che i locali di culto sono chiusi e le liturgie rese virtuali, che cosa caratterizza il nostro essere chiesa? Per chi, come i protestanti, collega l’essere chiesa alla predicazione dell’evangelo, è stato più facile rispondere. Perché seppur attraverso le forme della socialità digitale – da Zoom a YouTube – l’evangelo è stato predicato e condiviso, e una forma di comunità, seppur diversa o strana, è stata vissuta. Più difficile invece il percorso delle chiese che hanno al centro del loro culto l’eucarestia. Per esempio, un sacerdote ortodosso ha spiegato come l’eucarestia nella sua chiesa avvenga disponendo piccole porzioni di pane nel calice del vino che poi vengono somministrate ai fedeli attraverso un cucchiaio liturgico. Capite bene quanti problemi e quanta “santa creatività” sia necessaria per definire una procedura liturgica che soddisfi le normative di prevenzione.

La terza convergenza riguarda il rapporto tra la dimensione privata e quella pubblica della pratica religiosa. La dimensione privata non ha subito alcuna limitazione. Quasi ovunque le chiese sono rimaste aperte per il singolo fedele che volesse recarvisi a pregare. Il ruolo pubblico, invece, è stato, prima, limitato con la soppressione delle cerimonie religiose, poi, secondo molti, sottovalutato al momento delle riaperture. In Francia, per esempio, è stato il Consiglio di Stato a imporre la riapertura dei luoghi di culto che invece il governo, dopo alcune settimane dall’alleggerimento del lockdown, avrebbe voluto mantenere ancora chiuse.

Qual è il ruolo pubblico delle chiese? Quale l’importanza della pratica religiosa nella società? Sono taluni governi che ne sottovalutano il valore, oppure sono le nostre società così secolarizzate da trovare più importante l’apertura dei pub piuttosto che delle chiese? La domanda rimane, ed è seria, e certamente va ben oltre il tempo del coronavirus.

Luca Baratto