Referendum, Malan: “No alla riduzione della rappresentatività dei territori”

Per il senatore di Forza Italia, valdese, "i risparmi" eventualmente introdotti dalla riforma "sono pressoché nulli e si possono fare in molti altri modi. Al Senato negli ultimi dieci anni, ad esempio, abbiamo tagliato le spese da 580 a 440 milioni"

il facsimile della scheda per il referendum costituzionale

Roma (NEV), 3 settembre 2020 – Domenica 20 e lunedì 21 settembre si vota il referendum confermativo sul taglio dei parlamentari, che prevede una riduzione dei seggi in entrambe le Camere, andando a modificare gli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione. Si passerebbe così da 630 a 400 seggi alla Camera e da 315 a 200 seggi al Senato: un taglio complessivo di 345 parlamentari.

Lucio Malan

Abbiamo chiesto a Lucio Malan, valdese, senatore di Forza Italia, convinto sostenitore del “no”, il suo parere sulla riforma.

Perché voterà no?

“Si tratta di una riforma che ha una sola certezza, a differenza di quanto sostengono i promotori: ridurrà la rappresentatività dei territori, delle idee.

La seconda cosa sicura è che i risparmi sono nulli. L’eventuale taglio è una cifra insignificante, lo 0.06 per cento, e che per giunta andrebbe poi gestita dal Parlamento.

Tutte le altre promesse sono, appunto, tali. Quanto al miglior funzionamento del parlamento, ad esempio, tanto evocato, non si capisce davvero perché con meno deputati e senatori dovrebbe funzionare meglio.

Anche perché la verità è che oggi c’è un problema diverso e opposto, ed è che si discute troppo poco. Pensiamo alle due ultime leggi di bilancio – di fondamentale importanza – discusse in sole 30 ore. Ricordiamo che il Parlamento esprime le idee degli italiani”.

Una delle motivazioni principali di chi voterà sì si basa su un diffuso sentimento “anti casta”: non è importante, per lei, tagliare i costi del parlamento e quindi della politica?

“I costi del parlamento sono già stati ridotti ampiamente e per cifre maggiori. Le spese del Senato, ad esempio, le abbiamo ridotte da 580 milioni circa a 440 milioni dal 2008 al 2018. Dunque si possono fare risparmi altrimenti e non risparmiando nella rappresentatività.

Perfino Benito Mussolini pensò che, per un paese che allora aveva 40 milioni di abitanti e non 60 come ai giorni nostri, 400 deputati fossero pochi…”.

Silvio Berlusconi, leader del suo partito, Forza Italia, ha detto: “Sto ancora riflettendo ma questo provvedimento è diverso da quello che proponemmo noi, rischia solo di limitare la rappresentanza e ridurre la democrazia”. Che ne pensa?

“Condivido quello che ha detto: una cosa è ridurre i parlamentari in una riforma che mira a dare più poteri e l’indicazione più diretta del capo del governo. In quel contesto una riduzione, per altro ragionevole, visto che si parlava da 630 a 518 deputati e da 315 a 252 senatori, era auspicabile. Così come anche la riforma voluta da Matteo Renzi (e bocciata dagli elettori nel 2016, ndr) aveva come fine una riduzione solo della rappresentanza – tanto è vero che votai contro (prevedeva il numero dei senatori eletti fosse ridotto da 315 a 95 membri nominati dai Consigli regionali fra i loro stessi componenti e i sindaci, ndr).

Ho sempre sostenuto invece l’elezione diretta del capo dello stato, un sistema simile a quello americano, in quel caso sì che avrebbe senso un minor numero dei parlamentari.

Mentre nel disegno di chi parteggia per il “sì” al quesito del 20 settembre perde potere solo il parlamento, l’unica entità eletta e davvero rappresentativa della volontà di tutti i cittadini”.

Maurizio Landini oggi ha dichiarato di aver assunto “la decisione di non dare alcuna indicazione di voto e di lasciare liberi” gli iscritti alla CGIL “di usare la propria testa”. Come si spiega all’elettorato questa posizione diffusa in entrambi  i fronti opposti?

In generale il referendum è un voto per sua natura in cui ciascuno valuta per sé, sta nell’ordine delle cose di questo strumento ed è perfettamente logico che partiti e sindacati diano libertà di scelta ai propri iscritti.

Da dentro al parlamento, posso dire che la maggior parte dei deputati era contraria e non, come si può pensare, per preservare il proprio ruolo né per interessi personali. Un esempio per tutti, Guido Crosetto, di Fratelli d’Italia, che ha già lasciato la Camera e ceduto il suo posto in parlamento e dunque non è “sospettabile” in alcun modo di voler conservare la poltrona, e che dice comunque no alla riforma”.

Ma se vincesse il no – come da più parti è stato detto – cadrebbe il governo? Cosa risponde a chi pensa che il referendum sia in realtà un voto sull’esecutivo di Giuseppe Conte?

“Personalmente sono sia a favore del no che della caduta di questo governo, ma sono due cose separate. Se dovesse vincere il no, infatti, sarebbe sì una sconfitta per il movimento 5 stelle e per il Pd ma è pur vero che nel governo ci sono anche LeU e Italia viva…La posta in gioco vera è la rappresentatività del Parlamento”.

Qui, sul sito del Ministero dell’Interno, tutte le informazioni sul voto.

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