Luterani. Prader: “Non esiste solo il Covid”

Il presidente del sinodo luterano Wolfgang Prader interviene su chiesa e responsabilità sociale

Roma (NEV/CELI), 29 aprile 2021 – Quattro anni da vice e da ottobre 2020 Presidente del Sinodo della Chiesa evangelica luterana in Italia. Lui è Wolfgang Prader, e come il suo predecessore Georg Schedereit, è originario dell’Alto Adige e quindi bilingue fin dall’infanzia. Prader si aspetta importanti impulsi per il futuro dalla 2^ Seduta del XXIII Sinodo. Il Covid secondo lui ha compresso troppo il campo visivo ed è ora di riprendere i temi che sono di assoluta importanza per il futuro, come l’ambiente o l’ingiustizia sociale.

È diverso pianificare un sinodo come vicepresidente che esserne pienamente responsabile come presidente?

Sì, altroché! Anche se lavoriamo insieme in modo estremamente costruttivo e siamo un’ottima squadra, alla fine, l’ultima decisione, spetta a me. E questo sì, fa la differenza!

È una persona che prende facilmente delle decisioni?

Mettiamola così: quando prendo una decisione, la mantengo. Ma non prendo mai decisioni avventate e sono certamente prima di tutto uno che lavora in squadra; soprattutto so ascoltare. Quello che non faccio mai è fissarmi su qualcosa, preferisco ponderare bene le cose prima di arrivare ad una conclusione.

Rispetto agli ultimi Sinodi, qual è stata la difficoltà maggiore nell’organizzare il suo primo Sinodo in veste di Presidente?

Abbiamo avuto soltanto un’opportunità di incontrarci di persona, alla prima riunione del concistoro subito dopo la nostra elezione, lo scorso ottobre. Dopo di che, tutti gli incontri si sono svolti in modalità digitale, telefono, e-mail, Zoom, Teams… pianificare un evento come un sinodo in questo modo è davvero faticoso e macchinoso. Una conversazione diretta lascia più spazio, è più spontanea, mette in moto altri fili di pensiero, lascia più spazio alla spontaneità, ci si ispira a vicenda. Le riunioni digitali sono straordinariamente efficienti per questo, ma manca la possibilità del dietro le quinte, che spesso porta qualcosa in più.

Lei stesso è un esperto informatico…

Sì, certo. E certamente continueremo a usare molti dei formati digitali che abbiamo già sperimentato e che si sono dimostrati efficaci. La pandemia ha semplificato e accelerato molte cose in questo senso. Sperando davvero che si tratti del primo e anche ultimo sinodo virtuale, non possiamo non renderci conto che, per quella che viene comunemente definita come eterogenesi dei fini, ci sono anche alcuni effetti “collaterali” positivi. Per esempio, il risparmio di tempo per coloro che possono partecipare da casa, oppure l’opportunità per tutti i membri della chiesa di accedere al sinodo indipendentemente dal luogo in cui si trovano. Chissà, per il futuro potremmo forse prendere in considerazione un modello ibrido, cioè un sinodo in presenza con parziale collegamento in diretta, per esempio.

Normalmente in questi primi sei mesi avrebbe dovuto viaggiare molto più, in quanto “ambasciatore” della CELI.

Questo è vero. E anche questo è un aspetto che ha pesato un po’ su questi primi sei mesi. Abbiamo avuto un incontro digitale con i valdesi. Abbiamo partecipato alla conferenza dei presidenti delle comunità CELI. A seconda dell’andamento della pandemia anche la prossima riunione della Conferenza delle chiese europee (KEK), in giugno, alla quale siamo invitati a partecipare, si terrà online. E non è ancora chiaro cosa succederà in estate e in autunno.

Da un sinodo ci si aspetta delle decisioni di lungo termine. Secondo lei, quali sfide necessitano in modo più urgente di risposta?

Al momento tutto, davvero tutto, è concentrato sul Covid. Direi troppo. Ci sono infatti tanti temi che hanno bisogno di risposte immediate. Anche di fronte ad una sfida globale come il Covid-19, dobbiamo prenderci tutto lo spazio che serve per poterci occupare di altre questioni, che non sono meno importanti per il futuro, se non addirittura più urgenti. Penso all’ambiente e allo sviluppo sostenibile, insomma tutte le tematiche affrontate dall’Agenda 2030. Questa è anche una delle grandi sfide del nostro tempo, che ci riguarda tutti e che richiede non solo degli interventi immediati e collettivi, ma anche a livello individuale ognuno di noi è chiamato ad un’assunzione diretta di responsabilità! C’è poi la questione della giustizia sociale. Il divario sociale a causa della pandemia sta aumentando a livello globale, ma anche nelle nostre società, nelle nostre città. E poi c’è la questione dell’accesso all’istruzione: anche qui, il Covid ha aggravato la situazione di molte famiglie, di molti bambini e giovani. Per non parlare della questione della salute e dell’accesso alle cure mediche. Tutti campi dove vedo una grande responsabilità individuale, ma anche delle chiese, della nostra chiesa.

Secondo Lei, il ruolo della Chiesa è cambiato in seguito alla pandemia?

Lo formulerei diversamente. Attraverso la pandemia siamo forse diventati più consapevoli del ruolo della Chiesa per quanto riguarda i nostri compiti nella pastorale e nella società. Quando l’aspetto della comunità viene meno e la chiesa è vissuta in modalità digitale, accadono due cose. Da un lato, ci si accorge che di colpo qualcosa è venuto a mancare, qualcosa che avevamo dato per scontato. D’altra parte, si capisce che la chiesa è anche un importante tassello a livello sociale e che, contrariamente a quello che pensavamo prima, può benissimo e anzi deve essere vissuta in diversi formati. Anche virtuali!

Cosa si aspetta Lei concretamente da questo sinodo?

Mi aspetto che dal dialogo dei sei gruppi di lavoro – uniti virtualmente in “stanze” più piccole – nascano decisioni che possano determinare il cammino della CELI nel futuro. Tutti i sei temi sono importanti e richiedono risposte concrete per il lavoro nelle comunità: Ambiente, Giustizia di Genere, Diaconia, Giovani, Elaborazione del periodo della pandemia e Digitalizzazione.

La questione della giustizia di genere non è senza controversie nell’ambiente protestante. Come è l’approccio della CELI?

Affrontiamo questa questione con grande serietà, ma sereni, in modo aperto e senza pregiudizi. Abbiamo chiamato tutte le Comunità a partecipare alla stesura del documento, coinvolgendo tutti. La commissione ha fatto un eccellente lavoro, che ha portato alla dichiarazione congiunta che mi aspetto venga votata.

L’ospitalità eucaristica è un argomento molto controverso, soprattutto in Germania. Non sarà tra i temi che il Sinodo affronterà?

Per noi non è un problema, o meglio non è vissuto come tema di conflitto, né per i teologi né per le Comunità. Ci atteniamo semplicemente all’accordo di Lund: da noi tutti i battezzati sono i benvenuti alla tavola del Signore.

Dove vede la necessità di intervento immediato?

Dobbiamo presentare meglio le nostre Comunità all’esterno, rendere note le loro attività anche tramite piattaforme digitali. Una maggiore visibilità è un prerequisito per poter crescere.

nd 28.04.21

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