Isenburg racconta Freire. Una stagione di democrazia e libertà

Riceviamo e pubblichiamo il contributo di Teresa Isenburg su Paulo Freire, di cui ricorre il centenario dalla nascita. Freire, educatore e pedagogista di fama mondiale, impegnato per i diritti umani, lavorò fra l’altro nell’ambito del Consiglio ecumenico delle chiese

Amazzonia. Foto di Nadia Angelucci

Roma (NEV), 21 settembre 2021 – Il 19 settembre 1921 nasceva a Recife nello Stato di Pernambuco, in Brasile, Paulo Freire. Destinato a diventare educatore, la sua influenza è stata e continua ad essere su scala mondiale. Anche la pagina di apertura di Google del giorno è stata a lui dedicata.

La costruzione del suo metodo di alfabetizzazione, con attenzione anche agli adulti, è nota in modo allargato dal 1963 dopo una sperimentazione di successo in un piccolo centro dello Stato di Rio Grande do Norte. Il governo riformatore di João Goulart lancerà il Programma nazionale di alfabetizzazione di cui Paulo Freire è il coordinatore. Ma il colpo di stato militare del 1° aprile 1964 estingue immediatamente il programma stesso. Per Paulo Freire inizia l’esilio che terminerà solo nel 1980. Ma qui voglio solo ricordare un segmento di questo periodo, i dieci anni fra 1970 e 1980 in cui egli visse a Ginevra e lavorò nell’ambito del Consiglio ecumenico delle chiese (CEC). E mi servirò delle stesse parole al riguardo di Paulo Freire in alcune interviste del 1978 e successive*.

Paulo Freire. Foto Slobodan Dimitrov / wikimedia commons

«Nel 1969 … io già avevo l’originale di Pedagogia degli oppressi concluso, che uscì a settembre 1970. Fu proprio in questo intervallo che fui invitato da Harvard. Quando tornai in Cile da un precedente viaggio cominciai a ricevere inviti per gli Stati Uniti. È stata una cosa strana. Perché, ricevuta la lettera di Harvard, otto giorni dopo ricevo quella del Consiglio ecumenico delle chiese. Harvard mi proponeva di essere lì ad aprile 1969 e il Consiglio di essere qui a settembre. Decidemmo di fare ad entrambi una contro proposta. Ad Harvard per rimanere fino alla fine del 1969 e al Consiglio per andare a inizio 1970. I due accettarono ed è stata una buona cosa perché desideravo molto avere un’esperienza negli Usa.

Preferivo venire al Consiglio perché il problema di essere professore per me non si pone. Io mi sento professore in un incrocio della strada. E non ho bisogno del contesto dell’università per essere un educatore. E a quell’epoca sapevo che il Consiglio mi avrebbe dato un margine che l’università non mi avrebbe dato. Non mi interessa passare un anno studiando un libro, ma un anno studiando direttamente una pratica. Il Consiglio mi dava questa opportunità.

Mai nessuno mi chiese, nel Consiglio ecumenico, in dieci anni, se ero questo o quello dal punto di vista religioso. Mai sono stato chiamato dal Segretario generale per dirmi “sii cauto!” o “modera un po’ il tuo discorso”! Niente. Forse mai sono stato così libero come lavoratore come quando sono stato là».

E nei dieci anni di Ginevra Paulo Freire lavorò molto con paesi dell’Africa sub sahariana. Erano anni in cui il CEC era molto attivo e operativo sulla scena internazionale, con iniziative concrete destinate a lasciare il segno. Solo per rimanere in ambito brasiliano, nel 1976 esso apriva le sue porte a Manoel da Conceição, il dirigente delle leghe contadine del Nordeste del Brasile martoriato dalla dittatura. E negli anni ’80, in un lavoro ecumenico e interreligioso, raccoglieva il materiale documentario sulla tortura politica in Brasile confluito nell’importante libro “Brasil nunca mais”. Una stagione intensa, che ha dato frutti non banali nella difesa e nella costruzione attiva della democrazia; una stagione lontana, ma dei suoi concreti contenuti si sente ancora oggi il bisogno.

di Teresa Isenburg, 19 settembre 2021

*Paulo Freire, anistiado politico brasileiro, org. Instituto Paulo Freire e comissão de Anistia. Ministerio da Justiça, São Paulo, 2012