Roma (NEV), 29 ottobre 2021 – Domani sarà eletto un nuovo Presidente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia. Abbiamo intervistato il presidente uscente, Luca Maria Negro, pastore battista che dal 2015 a oggi ha guidato la federazione delle chiese protestanti, per fare un bilancio del suo mandato, sia a livello pastorale che umano.
Cominciamo dall’esperienza del programma rifugiati e migranti, Mediterranean Hope. Quali sono state le soddisfazioni e quali i momenti più difficili di questo progetto?
A Lampedusa ho ricevuto due regali: il primo è una bellissima targa, che mi hanno donato gli operatori e le operatrici, un dono che mi ha commosso. L’altro regalo è stata la possibilità di andare al Molo Favaloro nel corso di uno sbarco e vedere coi miei occhi qual è la situazione, nei momenti degli approdi, che io trovo abbastanza disumana e disumanizzante per le persone che arrivano dal Mediterraneo, al di là dei volontari e degli operatori presenti, che fanno del loro meglio per accogliere con un sorriso i migranti.
Quanto ai momenti più difficili, per me è stata la responsabilità di giovani e meno giovani – gli operatori che lavorano in contesti anche molto difficili – che si spendono su questo fronte che a volte fa tremare i polsi.
Uno dei concetti-chiave del suo mandato è il tema biblico della filoxenia, l’amore per lo straniero. Pensa sia ancora attuale?
Penso che dovremmo riscoprire queste pagine bibliche. I populisti, gli xenofobi, chi incita all’odio verso lo straniero, sono davvero a un crocevia: la via della benedizione e quella della maledizione.
Come valuta il lavoro da lei svolto insieme al Consiglio e alle chiese federate?
Il tentativo è stato quello di far sentire protagoniste tutte le componenti della Federazione. Ad esempio, per la prima volta nella storia, abbiamo avuto una vicepresidente luterana, Christiane Groeben. Abbiamo coinvolto in posizioni di responsabilità le diverse chiese, come nella conduzione dell’Assemblea del 2016, con il Maggiore David Cavanagh dell’Esercito della Salvezza. E nel 2019 con Giuseppina Mauro, della Chiesa apostolica italiana.
Abbiamo, inoltre, cercato di valorizzare tutte le esperienze. Coltivando un dialogo anche con le chiese non federate, aprendo la partecipazione alle commissioni, insieme a fratelli e sorelle avventisti o dell’area pentecostale. A causa del covid non abbiamo potuto portare a termine il progetto di un incontro con tutte le chiese evangeliche, federate e non. Tuttavia la Federazione resta un osservatorio importante per capire cosa avviene in questo ampio mondo evangelico. Penso che non dobbiamo essere eccessivamente ottimisti né eccessivamente disattenti. Siamo in un percorso. La tappa dei 500 anni della Riforma, nel 2017, poteva avere una partecipazione più larga. AL tempo stesso, si moltiplicano le donne pastore in queste chiese. Sembrava una delle caratteristiche esclusive del cosiddetto protestantesimo storico. Il fatto che avvenga ora in contesti dove alcuni ritengono il ministerio femminile distante dal dettato biblico, è significativo.
Quale messaggio spirituale, o pastorale, avrebbe piacere di condividere con chi presiederà la Federazione dopo di lei?
Riprenderei il tema della meditazione che chiuderà la tavola rotonda di sabato 30 ottobre. A partire dal testo biblico di Genesi, 13 quando Abramo e Lot si separano. Dopo una contesa sulle greggi, Abramo e Lot cercano una separazione che sia onorevole e pacifica. La pianura è vasta, e sembrerebbe esserci spazio per tutti. Eppure questa scelta, nel tempo, crea conseguenze molto gravi. Da questa separazione il popolo di Abramo eredita come cugini i moabiti e gli ammoniti, che diventeranno acerrimi nemici di Israele. Non possiamo riscrivere questo racconto, ovviamente. Esso testimonia che ci si può anche separare da fratelli, ma dopo un po’ ci si può rincontrare da nemici. Questa vicenda biblica mi fa venire in mente una tentazione di oggi delle chiese, in generale. Siamo passati da un momento di grande entusiasmo ecumenico, per poi piano piano tornare indietro. Lo abbiamo osservato nel dialogo tra cattolici, protestanti e ortodossi, ma anche all’interno del protestantesimo. Viviamo un tempo di ossessione identitaria. A causa delle insicurezze a livello mondiale, o per altri vari motivi. Noi pensiamo di essere esenti, come chiese, da questa ossessione. Anzi, ci opponiamo a chi fa dell’identità nazionale, o razziale, del sovranismo o del populismo, una bandiera. Ma siamo davvero esenti da questo peccato dell’ossessione identitaria? Forse dovremmo continuare con più forza di prima a camminare insieme, cosa che Abramo e Lot non hanno fatto. Ecco, come messaggio spirituale vorrei che lo spirito federativo, che è anche ecumenico, non si affievolisse, non si indebolisse, solo perché è difficile. Spero che si possa ritrovare il vigore di quel pathos ecumenico che è parte della nostra storia. Siamo stati pionieri, ad esempio nel percorso battista, metodista e valdese (BMV). Altrove sono andati più avanti, ad esempio in Francia, dove pochi anni fa è nata la Chiesa protestante unita, che raccoglie tutte le denominazioni riformate.
Secondo lei, c’è spazio in Italia per le cosiddette “fresh expressions”, cioè modelli di utilizzo alternativo delle chiese e dei locali normalmente destinati ad attività di culto?
Ritengo che le comunità non debbano essere gelose dei loro spazi. Sono proprio reduce da un incontro con la Commissione permanente per la formazione pastorale, dove abbiamo parlato anche di questo. Bisognerebbe cercare non solo di rinnovare il culto tradizionale, ma cercare nuove espressioni. Non solo nei templi. Ogni luogo può essere buono per lo sviluppo di momenti di spiritualità, magari in piccoli gruppi, dove ciascuno si possa sentire libero e attivo nell’esprimere la propria fede.
Cosa farà adesso, terminato il suo mandato, quali impegni la aspettano? Quali sono i suoi progetti futuri?
Continuo a fare il pastore in due comunità e sto già lavorando a come rendere più vivo il nostro culto, le cui forme rischiano di essere statiche. La liturgia e la spiritualità, secondo me, sono collegate all’impegno sulla giustizia e sul creato. Penso, ad esempio, alla scommessa della comunità ecumenica di Iona, in Scozia. Che è diventato un polo che mette insieme musica e azione. (La Iona Community che si ispira al cristianesimo alto medievale delle isole britanniche. Impegnata in attività sociali e solidali, Iona opera in diverse città all’insegna di una spiritualità in armonia con la natura, per la pace e la giustizia sociale, ndr). Come Dorothee Sölle, penso a una preghiera politica come spiritualità incarnata”.