Italia alla guida della NATO in Iraq? Rete pace e disarmo: Meglio di no

La Commissione globalizzazione e ambiente della Federazione delle chiese evangeliche in Italia sottoscrive la lettera in cui 47 organizzazioni esprimono, fra l’altro, preoccupazione per quanto riguarda modelli e obiettivi di intervento civile e militare in Iraq

Roma (NEV), 26 novembre 2021 – C’è anche la Commissione globalizzazione e ambiente (GLAM) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) tra i 47 firmatari della richiesta per la sospensione della guida italiana della NATO in Iraq.

“L’ormai prossima assunzione italiana del comando della missione della NATO in Iraq desta molte perplessità- E preoccupa che non vi sia stata fino ad oggi una adeguata discussione pubblica su questo fatto – si legge nel comunicato stampa diramato tre giorni fa dal Coordinamento nazionale Rete pace disarmo –. La missione verrebbe ampliata da 500 a 4.000 uomini, trasformandola di fatto in missione di combattimento da quella che, almeno sulla carta, era solamente funzionale all’addestramento dell’esercito iracheno”.

Continua il comunicato: “La recente decisione di dotare le Forze Armate italiane di una flotta di Hero-30, i cosiddetti Droni Kamikaze dichiaratamente finalizzati all’utilizzo nel ‘mutato scenario operativo in Iraq’, come scritto nella relazione del Ministero della Difesa resa nota dall’Osservatorio Mil€x, non può che aggravare questa nostra preoccupazione”.

La missione italiana in Iraq

La missione italiana in Iraq conta al momento 280 militari impegnati nella forza NATO e 900 nella missione Prima Parthica, che sarà integrata nella NATO. Essa, spiega il Coordinamento, “diventa così la più grande missione italiana all’estero”.

Secondo i firmatari “la permanenza di sacche di estremismo violento non giustificano la presenza di una forza della NATO così consistente, con tanto di robot assassini e aerei da combattimento. L’Iraq è un paese nel quale si combatte da tempo una parte del conflitto che oppone Stati Uniti e Iran. Un conflitto combattuto tramite terze parti e giocato con cinismo sulla pelle di donne e uomini iracheni e che tiene in ostaggio il Paese da anni”.

Favorire la democrazia. Come?

Il compito degli europei, si legge ancora nel comunicato “dovrebbe essere di favorire la liberazione del Paese da questa morsa. E sostenere lo sviluppo economico, la democrazia e i diritti umani. Questo non si fa con gli eserciti, ma collaborando con l’attivo sostegno alla società civile irachena”. Una tale missione di addestramento “dopo quanto successo in Afghanistan, su cui non si è nemmeno fatta una seria analisi, dovrebbe almeno essere rivalutata. Il rischio concreto è che l’Italia rimanga invischiata nella lotta per il controllo dell’Iraq, per conto di altri Paesi, senza nemmeno un dibattito pubblico. E senza che ne abbia nemmeno un diretto interesse. Con la conseguenza, tra l’altro, di nuovi gravi rischi anche per la sicurezza delle organizzazioni umanitarie italiane che lì operano. Rischi dovuti alla confusione tra presenza civile e militare”. Le 47 organizzazioni firmatarie concludono: “Chiediamo la sospensione della decisione di assumere la guida della NATO in Iraq e del processo di acquisizione di questi armamenti. E l’apertura di un dibattito pubblico, o almeno parlamentare, su modelli, obiettivi, strumenti della attuale presenza italiana in Iraq”.