Roma (NEV), 2 gennaio 2022 – il 27 maggio del 1988 Desmond Tutu fu ospite della Facoltà valdese di teologia. L’arcivescovo anglicano di Città del Capo era a Roma insieme a una delegazione sudafricana che comprendeva alcuni dei più importanti personaggi della lotta contro l’apartheid: il pastore Frank Chicane, all’epoca segretario generale del Consiglio delle chiese del Sudafrica (SACC), la metodista Virginia Gcabashe, vice presidente del SACC, il pastore Sol Jacob.
La delegazione, precedentemente ricevuta in Vaticano, incontrò alla Facoltà valdese studenti, professori e rappresentanti delle chiese evangeliche italiane. A fare gli onori di casa in quell’occasione fu il professor Paolo Ricca che, in un’intervista rilasciata al programma radiofonico Culto evangelico questa domenica 2 gennaio, ha ricordato quell’evento. Riportiamo qui di seguito, una versione dell’intervista preparata per l’agenzia NEV/Notizie evangeliche.
Professor Ricca, che cosa incontra di quell’incontro?
Ricordo tante cose, soprattutto la gioia che accompagnò l’intero incontro. Ciò che mi premeva a quel tempo era che i nostri studenti in teologia conoscessero di persona questo protagonista della fede cristiana del nostro tempo. E questo è certamente avvenuto durante l’incontro ufficiale con i rappresentanti delle chiese evangeliche italiane, ma soprattutto è avvenuto la sera in Facoltà, quando invitammo Tutu a cena. Lui venne e cenò con professori e studenti. Fu una grande cena che, ricordo, si concluse con un canto: ci alzammo in piedi e intonammo insieme We shall overcome l’inno di Martin Luther King. Fu una gran cena e una gran festa; una gioia, il poter incontrare un uomo di quella statura che mostrava come fosse chiaramente possibile essere pienamente inseriti nelle lotte del modo, proclamando una chiara confessione della fede cristiana.
Quale fu il messaggio che Tutu e gli altri componenti della delegazione sudafricana portarono?
Sottolinearono sostanzialmente due aspetti: l’esigenza della giustizia sociale e la fine dell’apartheid come sistema iniquo. Ricordo ancora Sol Jacob, che era uno dei presenti, il quale disse che l’apartheid non poteva essere corretto, doveva essere abolito. Ecco, questo era un po’ il messaggio complessivo dell’incontro. Ci sono delle storture nella società che non possono essere corrette, devono essere abolite. L’unico rimedio è radicale, come in certe malattie che non è possibile curare con dei pagliativi; bisogna invece intervenire in maniera radicale. E così è anche nel corpo della società contemporanea. E questo messaggio era sostenuto da una vivissima confessione di fede. Una lotta per affermare i diritti umani, ma a partire dal messaggio della libertà che Cristo dona agli esseri umani. Dio è il liberatore che ci affranca non solo dall’apartheid ma da tutti i peccati, da tutti i mali interiori e sociali.
Secondo lei, quale eredità lascia Desmond Tutu?
L’eredità maggiore, secondo me, sta nella proposta che Tutu fece di creare, dopo la caduta del regime di apartheid, una commissione che si chiamava ‘Verità e riconciliazione’ per far incontrare vittime e carnefici dei terribili anni della segregazione. Che cosa voleva dire l’istituzione di quella commissione? Voleva dire che non c’è il perdono a buon mercato. Sovente il perdono viene trattato come una merce a buon mercato; invece, quello a buon mercato non è perdono ‘creativo’, cioè un perdono che crea condizioni nuove. Il perdono creativo è solo quello che passa attraverso il pentimento e il riconoscimento della colpa. Se tu non riconosci la tua colpa, non c’è nessun perdono possibile, almeno a livello di rapporti personali. Quindi, l’idea che non c’è perdono a buon mercato, mi sembra essere il grande contributo di Desmond Tutu in tutta l’enorme problematica delle colpe sociali, o politiche, e della necessaria riconciliazione che però ha un prezzo: il riconoscimento della colpa. Tutu è stato molto fermo nel mantenere questo punto dopo la tragedia dell’apartheid che ha fatto innumerevoli vittime. Non c’è nessun peccato, né sociale né personale, che non possa essere perdonato, tutto può essere perdonato purché ci sia il riconoscimento della colpa.