Essenza di umanità

La rubrica “Lo sguardo dalle frontiere” è a cura degli operatori e delle operatrici di Mediterranean Hope (MH), il progetto sulle migrazioni della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI). O dalle volontarie e dai volontari che accompagnano per periodi più o meno lunghi il percorso di MH. Questa settimana “Lo sguardo” proviene dalla Casa delle Culture di Scicli ed è stato scritto dall'operatore Gerardo Filippini

Scicli (NEV), 22 febbraio 2021 – Le ruote affondano leggermente nella sabbia, oggi c’è un vento leggero e il mare si perde nel profondo degli occhi di Omar. Sono indecifrabili i pensieri che corrono nella sua mente, si intuisce dal volto disteso che forse questo è un giorno di quiete, un giorno sereno. La distanza con il piccolo villaggio libico dove ha trascorso parte della sua infanzia sembra siderale. Nella realtà si tratta di qualche centinaio di km da questa spiaggia in Sicilia, “aldilà del mare”, dove Omar e la sua famiglia hanno trovato accoglienza grazie ai Corridoi Umanitari provenienti dalla Libia promossi da Unhcr  in collaborazione con la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia. Su questa spiaggia, Omar corre con l’aiuto delle braccia e le gambe dei suoi fratelli, dei suoi amici, dei volontari della Casa delle Culture. Le sua gambe hanno smesso di correre quando appena undicenne è rimasto vittima di una pallottola vagante che lo ha colpito alla colonna vertebrale rendendolo per sempre paraplegico. Nel villaggio erano una consuetudine le razzie di soldataglie e malviventi, era consueto il rumore dei kalashnikov, i bambini giocavano per la strada…C’è una speranza di normalità anche al centro dell’inferno, lo testimonia l’ostinazione dei bambini che non si rassegnano a non vivere seppure in qualche modo la loro infanzia.

Con Omar passeggiano sulla sabbia la mamma e due fratelli più piccoli. La famiglia è originaria del Sudan, luoghi vittime di eterni conflitti dimenticati. Hanno viaggiato alla ricerca di un luogo di pace, sulle loro spalle una miseria inimmaginabile, una miseria segnata dal dolore, il padre di Omar scomparso, la mamma è una donna semplice e tenace che accoglie il dramma di vivere, il susseguirsi di sofferenze, con la forza di una fede umana straordinaria. Non si lamenta della sua vita o della condizione di suo figlio, custode di una consapevolezza dello scorrere drammatico della sua vita. La guardo e immagino che sulle sue spalle non porti solo suo figlio ma anche gli altri figli, porti chi le passa accanto, porti tutti noi, vedo l’essenza dell’umanità che scorre in ogni sua ruga, in ogni suo sorriso. Zahra, questo il suo nome, è essenza di umanità, Zahra non parla più la sua lingua madre, si è perduta nel deserto, si è persa nei mille incontri che ha vissuto, nei pavimenti che ha pulito, in fondo ai pozzi dell’acqua che ha raccolto, nel pellegrinare chiedendo aiuto per i suoi figli. La sua voce si è persa nel vento per trasformarsi in grido, un grido raccolto da un umanità che non si rassegna, che non è sorda al suo grido, un’umanità che non è indifferente. Zahra, i suoi figli, la sua storia, sono in salvo, scampati alla macabra roulette russa dei viaggi della speranza via mare. Vive ora nella piccola città di Scicli, dove con forza e determinazione si è concretizzata una piccola utopia, il sogno folle di portare in sicurezza, attraverso un corridoio umanitario, un gruppo di profughi provenienti dalla voragine disumana, da quell’incubo della coscienza che è la Libia. Zahra, i suoi figli, i ragazzi arrivati con questo primo corridoio umanitario, testimoniano con i loro corpi che un riscatto è possibile. Ma non il Loro, il nostro.