Roma (NEV), 21 aprile 2022 – Nel dibattito pubblico sul conflitto in Ucraina emerge spesso la questione dei crimini di guerra. In questo contesto alcuni hanno detto che la guerra è un crimine di per sé e, dunque, parlare di crimini di guerra è fuorviante, perché propone conseguentemente la possibilità di una guerra “legale”.
Per quanto questa posizione possa sembrare quasi lapalissiana, in realtà è erronea sotto quasi ogni punto di vista, sia ideale sia pratico.
Cos’è un crimine di guerra? Secondo il Dizionario Zingarelli è “azione inumana compiuta da membri delle forze armate in contrasto con le norme di diritto internazionale disciplinanti la violenza bellica”. Dunque, in tempo di pace le nazioni si riuniscono nelle sedi opportune per discutere di cosa sia lecito o no fare in guerra. Per quale motivo, però, non bandiscono la guerra tout court?
Perché nell’elaborazione dei codici di diritto c’è una dialettica tra condizione ideale e realtà. Facendo un esempio parallelo, il diritto al lavoro è un’affermazione generale di principio che spinge le istituzioni a operare affinché ci sia lavoro per tutti, ma non è possibile portare in tribunale il Governo perché si è disoccupati. Infatti, esiste un diritto del lavoro, che norma tra l’altro le condizioni in cui è lecito perdere il lavoro.
La pace è una condizione ideale, che non può dirsi né reale né irreale. Vale a dire, se la pace corrispondesse alla realtà non ci sarebbero decine di guerre nel mondo in questo momento; allo stesso tempo, le nazioni sono chiamate a costruire la pace. È un ideale che l’umanità ritiene non solo auspicabile, ma raggiungibile. Infatti, la Costituzione Italiana afferma all’art. 11 che il modo di risolvere le controversie internazionali non è la guerra: la pace è la via.
Ma è una via da costruire. Il paradosso è che la definizione dei crimini di guerra fa parte del processo di costruzione della pace. In altre parole, se sottovalutiamo il concetto di crimini di guerra, perché consideriamo la guerra un crimine di per sé, stiamo inconsapevolmente contribuendo alla “via” della guerra.
Ad esempio, è importante che l’uccisione intenzionale dei civili sia riconosciuta come un crimine di guerra. La distruzione di intere città fu la principale caratteristica della Seconda Guerra Mondiale. Con la Battaglia d’Inghilterra per la prima volta nella storia moderna occidentale un paese (la Germania nazista) ha stabilito di radere al suolo intere città. Il coinvolgimento dei civili quali obiettivi militari è stata la giustificazione di un’analoga strategia degli Alleati, che nel prosieguo della guerra hanno distrutto molte città tedesche e, infine, Hiroshima e Nagasaki con un bombardamento nucleare.
Altro caso importante furono le rappresaglie naziste, fondate sulla presunta superiorità razziale dei tedeschi “ariani”: siccome uno dei nostri vale più dei vostri, se muore uno dei nostri, uccidiamo dieci dei vostri. Questa fu la logica dell’evento delle Fosse Ardeatine, che si può chiamare strage, eccidio, massacro, ma mai e poi mai si può considerare una “rappresaglia”. Come perdonare un tale comportamento a guerra finita?
I crimini di guerra hanno, infatti, effetti sul dopoguerra. Pensiamo alle tensioni che ci sono ancora oggi tra Corea del Sud e Giappone, a causa dello stupro sistematico delle coreane schiavizzate come “donne di conforto” per i soldati nipponici tra il 1932 e il 1945. La Corea sostiene che sia stato un crimine di guerra, il Giappone non hai mai pienamente sposato questa definizione, perché sostanzialmente “era la guerra, che ti aspettavi?”: quale delle due posizioni è in grado di costruire la pace tra i due popoli? Quella che sostiene che una cosa è la guerra, altra i crimini nel contesto bellico, oppure quella che dice che la guerra è guerra, dunque sporca, cattiva, indiscriminata, “criminale” di per sé?
Allo stesso tempo, è bene ricordare che uno degli assunti su cui si fonda il negazionismo della Shoah è che lo sterminio degli ebrei fosse un semplice episodio della guerra e che in guerra si muore anche a milioni. È così che la guerra come crimine di per sé diventa il lavacro di ogni peccato, anche del più turpe e perverso. Anche per questo è importante distinguere i crimini di guerra dalla guerra.
Avere un codice condiviso che stabilisce cosa si può fare e cosa no, serve a proteggere il più debole dalla violenza del più forte. Nel contesto bellico è anche una “strategia” per costruire la pace ancor prima che finisca il conflitto, gettando le basi di una possibile riconciliazione tra le parti.