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Speciale Karlsruhe// Religioni per la pace, Azza Karam: “Fede e amore sono universali”

Intervista con Azza Karam, Segretaria generale della rete che riunisce 900 leader di 90 Paesi, intervenuta - e molto applaudita - nel corso di una delle plenarie dell'Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese in corso a Karlsruhe, pochi giorni fa.

Di
Barbara Battaglia
-
5 Settembre 2022
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    2 September 2022, Karslruhe, Germany: Prof Azza Karam, General Secretary of Religions for Peace shares greetings to the 11th Assembly of the World Council of Churches, held in Karlsruhe, Germany from 31 August to 8 September, under the theme "Christ's Love Moves the World to Reconciliation and Unity."

    Karlsruhe (NEV), 5 settembre 2022 – “L’amore di Cristo non è solo per i cristiani, ma anche per me, e io sono musulmana”. Con queste parole Azza Karam, segretaria generale di Religions for peace, una coalizione internazionale di rappresentanti delle religioni del mondo dedicata alla promozione della pace, ha “conquistato” l’applauso e il consenso della platea della plenaria della undicesima Assemblea generale del Consiglio ecumenico delle chiese, riunito in Germania dal 31 agosto scorso.

    Egiziana, vive a New York, docente di studi religiosi ad Amsterdam, già funzionaria dell’Onu, è alla guida del movimento fondato nel 1970 cui aderiscono oltre 900 leader religiosi di 90 Paesi. L’abbiamo incontrata a margine dell’evento del CEC in corso a Karlsruhe.

    Nel suo discorso ha detto che “L’amore di Cristo è per tutti”: cosa significa?

    “Il messaggio di Cristo è un messaggio di fede, credo e pace che vale per tutti e tutte. Non credo vi sia nessun riferimento nei Testi che dica che esso vale solo per i cristiani. Anche se da sempre i diversi gruppi e le comunità religiose si sono “appropriati” del messaggio del Signore, è normale. Ma ciò contraddice le basi del messaggio – la rivelazione divina -, che è e vale per tutti gli esseri umani. E per tutte le creature viventi.

    Quali sono le principali sfide del movimento che rappresenta?

    Religions for peace assomiglia un po’ alle Nazioni Unite, rappresentiamo infatti tutte le maggiori istituzioni delle religioni e delle fedi a livello mondiali – oltre cento – e quindi proprio come le Nazioni Unite abbiamo un’assemblea generale…Si tratta di uno spazio e un lavoro complesso perchè ogni entità cerca di perseguire i propri interessi. La salvaguardia degli spazi politici di ogni gruppo che cerca di legittimare la propria agenda rende anche più difficile la nostra missione. Penso sia questo uno dei temi cruciali: vediamo tutti quale è il bene comune, ma dobbiamo capire come essere d’accordo su cosa fare insieme, come lavorare insieme per salvare quello stesso bene comune. Una sfida molto importante è proprio quella di chiedere ai nostri leader di non pensare territorialmente, di non pensare solo alla propria chiesa o comunità.

    E dobbiamo anche fronteggiare le interferenze politiche, che ci sono sempre state ma che stanno aumentando. Credo che con il crollo delle ideologie – neoliberalismo, capitalismo, socialismo, comunismo – le religioni siano diventate sempre più una opportunità di narrazione comune per la convenienza politica. Stiamo vivendo nell’era – un fenomeno che si ripete, ciclicamente – di una forte alleanza, vari tipi di alleanze, tra partiti e attori politici da un lato, istituzioni e attori religiosi dall’altro.

    E’ pericoloso questo uso (o abuso) dei simboli religiosi e delle religioni da parte della politica?

    Sì, molto, perchè la fede non riconosce i limiti delle nazioni, la fede è universale. Mentre la politica è fatta di limiti, frontiere e confini. Quindi questi due linguaggi non servono l’uno all’altro. Usare le religioni per legittimare una narrazione politica significa, da una parte, limitare l’etica e lo scopo religiosi e, dall’altra parte, armare la fede. Quanto abbiamo visto e vediamo in Ucraina e Russia è un esempio di come sia totalmente inconcepibile legittimare una guerra in termini religiosi.

    Quale ruolo per il Consiglio ecumenico delle chiese, in questo quadro?

    Il WCC ha cercato sistematicamente di instaurare un dialogo tra i diversi attori cristiani e ortodossi. E la sfida per il WCC, così come per il Vaticano, è comprendere che quanto sta accadendo non è una questione cristiana o europea. Due Guerre mondiali sono iniziate in Europa. Quanto sta succedendo ha delle conseguenze drammatiche in termini di vite umane ma anche di materie prime, cibo, energia. I tentativi fatti fino ad ora sembrano focalizzarsi sul trovare una “soluzione cristiana”. Ma non si può trovare una soluzione cristiana a un problema globale.

    Quali i prossimi impegni di Religions for peace?

    Come nel mito di Sisifo, noi cerchiamo di collaborare per servire insieme, supportare i diversi attori religiosi ad affrontare le emergenze che continueranno a succedere,  coinvolgendo le istituzioni di ogni singola religione e comunità. Dobbiamo lavorare insieme, collaborare.

    Il movimento ecumenico è certamente necessario ma non penso sia possibile senza un movimento e un dialogo multireligioso, l’ecumenismo da solo o il percorso di ogni singolo credo non saranno abbastanza. Non è così complicato come sembra. Quando le religioni lavorano per servire insieme: quella è la cura di cui abbiamo bisogno, quella è la cooperazione che permetterà di salvare i beni comuni.

    Quando ogni religione fa da sé è come se ci facessimo male a una mano e ogni singolo dito ci fa male, e cerchiamo di curare il singolo dito ma non basterà, perchè dovremo curare il dolore che viene dal cuore, dall’anima, dalla mente, del nostro corpo.

    Stiamo affrontando le stesse sfide di sempre, solo che il pianeta è fuori tempo massimo. Parliamo sempre e ancora di povertà, guerre, ignoranza, abbiamo sempre gli stessi problemi da quando l’umanità abita su questo pianeta ma ora è la Terra che è fuori tempo massimo, perchè la stiamo distruggendo”.

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