Roma (NEV), 14 ottobre 2022 – Tra i nemici della pace in Ucraina c’è anche il blocco angloamericano, e non sorprende “perché gli anglosassoni sono di matrice protestante: per loro mettere gli scarponi (dei soldati) a terra è cosa abbastanza normale, perché l’ordine va mantenuto e politica e guerra nella visione protestante sono solo ordinamenti mondani, caratterizzati da autonome regole d’ingaggio e non gravati da legacci morali di derivazione evangelica”. Lo leggiamo in un articolo della “Provincia” a firma di don Angelo Riva, direttore del Settimanale della Diocesi di Como.
Ce ne dispiace perché le argomentazioni addotte, oltre che superficiali e stereotipate – non manca l’approssimativa citazione weberiana sul nesso tra capitalismo e protestantesimo – dimostra come il cammino ecumenico abbia ancora bisogno di reciproca conoscenza, comprensione e revisione di luoghi comuni che rendono accidentato il percorso che varie chiese cercano di compiere insieme.
In una nota privata, l’autore dell’articolo ha corretto il tiro e ammesso di essersi spinto troppo in analisi e riferimenti che meritano ben altro approfondimento. Ne prendiamo atto e quindi possiamo considerare chiuso l’incidente. Tuttavia, qualche commento si impone.
Il protestantesimo ha responsabilità storiche ben note e siamo proprio noi protestanti a riconoscere che, a partire da Lutero, anch’esso ha covato il seme violento dell’antigiudaismo; che la schiavitù è stata troppo a lungo accettata e persino benedetta da comunità protestanti che volevano costruire un “nuovo mondo” e porsi come modello di civiltà di fronte al mondo, “come una città sulla collina”, citando il Vangelo di Matteo; ed ancora, potremmo dire del segregazionismo, o della blasfema giustificazione teologica dell’apartheid. Insomma, non è difficile trarre dall’archivio della storia argomenti per alimentare un antiprotestantesimo che, per altro in un Paese come l’Italia, è stato lungamente nutrito e sostenuto con le armi, la repressione e la discriminazione. Ma chi di polemica ferisce, di polemica perisce e, mettendosi sullo stesso piano e richiamando le crociate e la caccia agli “eretici” (valdesi e non solo), Torquemada e l’Inquisizione, il Sillabo e le generose benedizioni alle truppe coloniali italiane in Africa, si potrebbe equilibrare la partita. Ma che senso avrebbe? Qual è il valore spirituale di questa risibile contesa fuori tempo e fuori luogo sulle ombre cupe che si proiettano anche sulle tradizioni religiose?
La cultura protestante non produce solo anfibi militari, come recita una superficiale vulgata, ma anche critica al potere stabilito (le ali radicali della Riforma e i movimenti “puritani” contro le chiese “stabilite” e cioè di Stato); cultura dei diritti umani (Eleonor Roosevelt e tutta la tradizione liberaldemocratica anglosassone); martirio per la libertà (Dietrich Bonhoeffer); pratica nonviolenta (Martin Luther King); modelli di riconciliazione (le chiese riformate del Sudafrica); una visione ecumenica orientata alla pace (il Consiglio ecumenico delle chiese). E avanti.
L’ecumenismo di oggi e di domani, per crescere, ha bisogno di studio, metodo, rigore. Per questo occorre sbarazzarsi dei pre-giudizi e dei facili repertori polemici. Ne va della credibilità dell’annuncio cristiano nel mondo di oggi.