Splendori e miserie dei mondiali di calcio

L'editoriale del pastore-teologo "pop" Peter Ciaccio su Qatar 2022 per l'Agenzia NEV

Lionel Andrés Messi
Foto di Lionel Andrés Messi tratta dal suo sito ufficiale, messi.com

Roma (NEV), 19 dicembre 2022 – Si è conclusa la ventiduesima edizione del Campionato Mondiale di Calcio FIFA in Qatar. È stato un Mondiale molto controverso, in particolare per il numero impressionante di operai morti per la costruzione degli stadi e delle infrastrutture necessarie. In un articolo di Pete Pattisson e Niamh McIntyre del 23 febbraio 2021, il Guardian ha parlato di 6500 lavoratori migranti provenienti dal subcontinente indiano che mancano all’appello. Per fare un paragone, trentadue anni fa il relativo bollettino di Italia ’90 era di 24 morti e 678 feriti, che era già un numero altissimo e inaccettabile.

Questo dato sovrasta tutte le altre questioni controverse. Tra queste, c’è l’impatto ambientale di sette nuovi stadi, pur con tutti gli accorgimenti per limitare le emissioni, in un paese sostanzialmente privo di un campionato nazionale di calcio: mai è parsa così calzante l’espressione “cattedrale nel deserto”. Inoltre, c’è la questione della corruzione diretta o indiretta, del tipo “investire su di me ti converrà”. Le notizie che ci giungono dal Parlamento europeo non sono confortanti, da questo punto di vista. Last, but not least, c’è la questione dei diritti umani, in particolare per quanto riguarda i cittadini stranieri (ovvero l’87% della popolazione qatariota), le donne e le persone omosessuali.

Questioni controverse monumentali, che hanno fatto sorgere nei paesi occidentali movimenti che invitavano al boicottaggio dei Mondiali di Calcio. Questi movimenti hanno avuto una notevole adesione, ma uno scarso successo. Infatti, le partite di Qatar 2022 hanno avuto un pubblico adeguato alla manifestazione e sul campo una delle finali più emozionanti che si siano mai viste.

Il Qatar era degno di ospitare i Mondiali di calcio? No, non lo era. D’altra parte, si può dire lo stesso di Italia 1934, Argentina 1978 e Russia 2018, tre occasioni per i rispettivi regimi di mostrarsi belli e rispettabili agli occhi del mondo. Lo stesso discorso si potrebbe fare per l’assegnazione dei Giochi Olimpici. A tal proposito, ricordo che si parlò di corruzione di membri del Comitato Olimpico Internazionale finalizzate all’assegnazione a Salt Lake City delle Olimpiadi Invernali 2002.

Forse Qatar 2022 dovrebbe essere l’occasione per riflettere sulla nostra società.

Infatti, senza l’assenso dei paesi occidentali e della confederazione più forte, ovvero l’UEFA, non si prendono decisioni così importanti. La UEFA ha un grande potere politico e pochi giorni fa è stata ad esempio in grado di ottenere il monopolio del gioco del calcio nei paesi dell’Unione Europea, istituzione che ha nel libero mercato e nella libera concorrenza una delle sue bandiere.

In altre parole, senza l’appoggio dei “nostri” paesi e dei nostri rappresentanti democraticamente eletti, non si sarebbero fatti i Mondiali in Russia (che già occupava il Donbass) e in Qatar.

Di fronte al numero enorme di morti sul lavoro e alle condizioni dei lavoratori stranieri in Qatar, la domanda che dovremmo porci non è “Che razza di società c’è in Qatar”, ma “Che razza di società siamo noi?”

Il presidente della FIFA, Gianni Infantino, e l’ex vicepresidente del Parlamento europeo, Eva Kailī (arrestata per aver ricevuto soldi da un “paese del Golfo”, secondo la Procura di Bruxelles) hanno avuto gioco facile a dire che l’Europa che critica il Qatar è ipocrita, viste le migliaia di persone che fa morire nel Mediterraneo. E proprio la presunta corruzione delle istituzioni europee mette in luce la forte permeabilità della nostra società, economicamente drogata e fondata sul debito pubblico e privato, rispetto a chi dispone riserve per noi inimmaginabili di denaro o di risorse energetiche, come la Russia o il Qatar.

Lungi da me dire che vivere in Italia o in Qatar sia la stessa cosa. Il punto è che nella nostra fetta di mondo, che spesso reclama un primato morale, con chiese, partiti e movimenti che rivendicano le radici cristiane della nostra civiltà, manca ormai una cultura della confessione di peccato, che è stata sostituita da una cultura della rimozione. Intendo la confessione di peccato in senso protestante, ovvero quella presa di coscienza della propria insufficienza e malvagità che solo nell’intervento soprannaturale di Dio può sperare in un perdono. La cultura della rimozione è, invece, autoassolutoria: «Eh, il mondo è così; cosa ci posso fare?»

Ecco perché i Mondiali hanno successo comunque. Ecco perché il governo del calcio ha questo potere. Ecco perché i soldi diventano l’idolo da adorare e ottenere a ogni costo.

Siamo pronti a indignarci dei contratti milionari dei calciatori, ma la cultura della rimozione blocca le vere domande: «Chi ha così tanti soldi da pagare 100 milioni di dollari all’anno per un giocatore come Kylian Mbappé? Come ha fatto i soldi? Cosa ci guadagna?» Forse la risposta a queste domande ci spaventa, perché alla fine porta a interrogarci su noi stessi e su come accettiamo una società ingiusta.

Il calcio, come tutto ciò che smuove le masse, dovrebbe essere oggetto di attenta e seria analisi, proprio perché ci dice chi siamo noi. Quando snobbiamo il calcio, ci poniamo fuori dalla nostra società in maniera irresponsabile. Quando tolleriamo la violenza, l’omofobia, la misoginia negli stadi, tolleriamo la violenza, l’omofobia, la misoginia nella nostra società. Lo stadio è specchio e palestra di ciò che avviene fuori.

In questo quadro cupo, però, non possiamo rimuovere la luce che emana il calcio, una luce che attrae miliardi di persone in uno spettacolo liturgico, vissuto in maniera spirituale. È la luce del riscatto di comunità dimenticate e ai margini; è la luce degli eroi di queste comunità, che non sono divinità scese dal cielo, ma persone che dalle periferie del mondo “ce l’hanno fatta”.

Ieri abbiamo visto il coronamento della carriera straordinaria di Lionel Messi, terzo figlio (su quattro) di un operaio e di una donna delle pulizie. Sin da bambino mostrava un certo talento calcistico, ma a 11 anni gli fu diagnosticato l’ipopituitarismo, il mal funzionamento dell’ipofisi, con potenziali gravi conseguenze su crescita e sviluppo. Nessun club in Argentina era disposto a pagare i circa 1000 dollari mensili necessari per curare quel bambino, ma in Europa il Barcellona si offrì di sostenerne le cure, facendolo trasferire in Spagna insieme alla famiglia. Il grande successo da calciatore professionista nel Barcellona lo ha reso bersaglio di invidie varie, che colpivano con paragoni ingiusti: «Non sarai mai come Diego Armando Maradona: lui era D10s, tu al massimo sei La pulga!» Ieri “La pulce” Lionel Andrés Messi ha alzato al cielo la Coppa FIFA.

Sarà retorica, sarà fumo costruito dagli sponsor, ma come fare a non vedere quella luce che splende nonostante la corruzione, l’ipocrisia e la gestione a tratti criminale del calcio e della nostra società?

Peter Ciaccio