Torre Pellice (NEV/CS20sinodo04), 28 agosto 2024 – Ieri il Sinodo valdese ha approvato l’Atto 36 in cui si dichiara inorridito dalla violenza del conflitto israelo-palestinese e dal grande numero di vittime, tra cui donne e bambini.
Il Sinodo chiede un immediato cessate il fuoco permanente e l’inizio di negoziati per far riprendere gli aiuti umanitari e liberare gli ostaggi. Secondo i deputati e le deputate è necessario ripristinare il diritto di entrambi i popoli a vivere su questa terra in pace, riconoscendo le rispettive storie e lavorando insieme per il rispetto del diritto internazionale, come il ripristino dei confini pre-1967.
Alla luce dell’ampio dibattito avvenuto sia nelle chiese negli scorsi mesi, sia in sede sinodale in questi giorni a Torre Pellice, il massimo organo decisionale valdese-metodista invita alla preghiera, al dialogo e all’impegno per una pace basata su giustizia e diritto.
Nell’Atto si invita inoltre a supportare associazioni, ONG e gruppi religiosi a promuovere incontri e collaborazioni tra israeliani e palestinesi per una convivenza giusta e sicura e si impegna a sostenere chi rifiuta la guerra attraverso l’obiezione di coscienza.
In questo contesto, anche nel quadro di iniziative ecumeniche internazionali, il Sinodo sostiene l’Arab Hospital a Gaza con il progetto “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori di pace” della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI) in collaborazione con il Centro Studi Confronti.
Il Sinodo infine, condanna i radicalismi e i fondamentalismi religiosi che, sia in Medio Oriente sia in Occidente, diffondono odio e violano i diritti; condanna ogni forma di antisemitismo e islamofobia; incoraggia le chiese a costruire la pace e il dialogo interreligioso e a partecipare alla settimana di preghiera promossa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) dal 16 al 22 settembre 2024.
Nella conferenza stampa di oggi (registrazione disponibile a questo link: Conferenza Stampa del Sinodo Valdese – “Medioriente: fermare l’odio e cessare il fuoco” (youtube.com) il Presidente del Sinodo, il pastore Claudio Pasquet, e la coordinatrice di Mediterranean Hope (programma rifugiati e migranti della Federazione delle chiese evangeliche in Italia – FCEI), Marta Bernardini, si sono confrontanti moderati da Gian Mario Gillio sia sul tema della pace in Medio Oriente nonché su possibili soluzioni e/o strumenti da adottare.
Sull’Atto approvato dal Sinodo sulla crisi israelo-palestinese, il presidente del Sinodo ha detto:
“Siamo lontani geograficamente da queste realtà, ma le viviamo ogni giorno, nei telegiornali e non solo. Siamo spinti a prendere posizione, ma è ciò che vogliamo evitare. Per questo è stata nominata una commissione che rappresentava entrambi gli schieramenti, per trovare un linguaggio comune. La verità non è mai da una sola parte, e la manipolazione delle notizie è un problema attuale. Come chiese, vorremmo trovare una risposta, anche se non è mai facile. Siamo di fronte a una crisi che precede il 7 ottobre e che si è incancrenita nel tempo. L’ONU e l’Europa hanno dato risposte parziali, e al momento stanno parlando solo le armi. Israele e Palestina: parliamo di una terra a noi cara. Siamo debitori per le Scritture a Israele e ai popoli che si sono avvicendati in quella terra. In casa nostra, come possiamo aprire spazi di dialogo? Vogliamo aprirci all’ascolto di voci musulmane ed ebraiche, nella nostra Italia. Vogliamo evitare le radicalizzazioni. Nel farlo, non ci sentiamo soli, ma con il Signore. – E ha continuato – : L’atto del Sinodo inizia con la parola ‘inorridito’. Il nostro orrore è sempre rivolto verso la guerra, ma in particolare verso la ferocia di questo conflitto. La seconda parola è ‘invito’: nel linguaggio sinodale significa che le chiese devono uniformarsi a questo tentativo di ‘equivicinanza’. Infine, c’è la parola ‘condanna’, riferita all’antisemitismo, all’islamofobia, ai radicalismi e alla negazione dei diritti delle donne”.
Marta Bernardini, da parte sua, ha parlato dell’anniversario di MH e detto:
“Dieci anni sono una tappa molto importante per noi; vogliamo guardare avanti e avere una visione per il futuro. Partiamo da Lampedusa, ricordando che, da un lato, c’è una propaganda politica su quanto avviene nell’isola, ma dall’altro, gli sbarchi, i transiti e le morti continuano. Oggi è significativo essere ancora lì. Da qui nasce spontaneamente il tentativo di cercare nuove vie legali necessarie, perché la chiusura delle frontiere, basata su un concetto distorto di ‘sicurezza’, esclude sorelle e fratelli. Con l’aumento dei movimenti migratori, le chiese devono alzare la voce, aprirsi con coraggio: inizialmente abbiamo avuto i corridoi umanitari dal Libano, e poi dalla Libia, ci saranno dal Niger, ci sono stati dal Pakistan e dall’Iran. Non vorremmo ricordare l’agosto 2021 in Afghanistan, ma dobbiamo farlo e ricordare che oggi, quando a una donna viene negato un diritto, anche il nostro diritto si riduce. Il nostro privilegio non deve farci assopire. L’autodeterminazione delle donne e dei popoli, l’emancipazione che diamo per scontata, devono essere difese ed estese. Le vie di accesso devono essere sempre più numerose: i corridoi umanitari sono un modo, ma non devono essere l’unico. Come chiese, vogliamo aiutare i vulnerabili non solo con l’accoglienza, ma anche con l’inserimento lavorativo, perché è importante poter esprimere la propria storia e i propri desideri come diritto, non come prigione. Proprio per questi dieci anni, abbiamo costruito un ‘vocabolario’ dalla A alla Z. Per esempio, la E sta per ‘Emergenza’, che per noi non riguarda le persone che arrivano sulle coste, ma quelle che non riescono ad arrivare. La F è per la ‘Favola’ di chi si integra, facendo attenzione a superare l’’idealizzazione del ‘buon migrante’ e del ‘buon rifugiato’. La R di Rifugiato ci ricorda frasi che abbiamo ascoltato direttamente: ‘non sono un rifugiato, sono un architetto, sono una studiosa…’ e così via. Le parole costruiscono il mondo, e dobbiamo lasciare che siano gli altri a raccontare la propria storia”.
Tra i progetti di Mediterranean Hope (MH) citiamo anche gli ostelli sociali per restituire dignità ai braccianti (a Rosarno e, da poco, anche nel Saluzzese), l’accoglienza in Bosnia sulla rotta balcanica, il sostegno in Libano, “dove la crisi si è aggravata a causa del conflitto – ha concluso Bernardini –. A Beirut, generazioni di palestinesi vivono da anni nei campi profughi, bloccati in un limbo costante. Dobbiamo essere presenti nei luoghi dimenticati, come atto di resistenza e testimonianza cristiana”.
Per richiedere interviste, materiali e schede informative, è possibile contattare l’agenzia NEV, che è presente a Torre Pellice come ufficio stampa del Sinodo. e-mail: nev@fcei.it
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