Roma (NEV), 24 settembre 2024 – Abbiamo chiesto all’avv. Ilaria Valenzi, consulente legale della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (FCEI), di spiegarci quali sono le strategie che potrebbero costruire un sistema più inclusivo, soprattutto nei confronti dei giovani nati e cresciuti in Italia ancora privi di cittadinanza.
I dati recenti indicano che circa 920.000 studenti e studentesse nelle scuole italiane non possiedono la cittadinanza: “un numero elevato che riflette l’urgenza di intervenire per riconoscere pienamente questi giovani come cittadini, poiché lo sono già di fatto, anche se non di diritto” ha affermato Valenzi.
“I modelli di cittadinanza sono essenzialmente lo ius sanguinis, il modello italiano attuale, e lo ius soli, tipico dei paesi oltreoceano come gli Stati Uniti e il Canada, dove chi nasce sul suolo nazionale acquisisce automaticamente la cittadinanza. Esiste poi una terza via, che è quella al centro del referendum in fase di raccolta firme, che propone di ridurre da 10 a 5 anni il tempo di residenza continuativa necessario per richiedere la cittadinanza. Questa riforma metterebbe l’Italia in linea con altri paesi europei e avrebbe un impatto su circa 2,5 milioni di persone. Quanto allo ius scholae, esso ha dei limiti intrinseci non solo in termini numerici, ma anche per il problema abbandono scolastico: chi non ha cittadinanza infatti tende ad avere più difficoltà a concludere cicli scolastici” ha proseguito Ilaria Valenzi.
Un po’ di numeri: lo ius soli riguarderebbe circa 500.000 persone all’anno; sono invece circa 135.000 persone ogni anno a completare un ciclo di studi di 5 anni; il sistema del dimezzamento da 10 a 5 anni per richiedere la cittadinanza rappresenterebbe al momento il più alto numero di persone che potrebbero accedere alla richiesta, insieme ai rispettivi figli minori, ed è quindi considerabile il modello più trasversale.
Con questo dimezzamento dai 10 ai 5 anni, cosa accade? Vuol dire che avremo immediatamente migliaia di cittadini italiani? Ha detto ancora l’avv. Valenzi: “A partire dal presupposto che questo sia un problema, cosa che secondo me non è, ma considerando anche l’ipotesi di dare un valore negativo al fatto di poter acquisire la cittadinanza in maniera semplificata, bisogna ricordare che il meccanismo non è automatico. Non basta essere presente nel Paese, non è un automatismo. C’è tutta una serie di requisiti stabiliti dalla normativa vigente e dalla giurisprudenza che vanno chiaramente rispettati: ad esempio la conoscenza della lingua italiana, l’assenza della commissione di reati e così via. Uno dei problemi degli attuali 10 anni di attesa è legato al fatto che questa norma blocca la mobilità delle persone. Si costringe infatti a rimanere in Italia. Se ad esempio una persona ha delle radici familiari in Inghilterra e volesse andare a studiare lì, non lo può fare. Un ragazzo o una ragazza italiana può farlo, ed è considerato un grande arricchimento per il proprio curriculum. Se lo facesse un ragazzo senza cittadinanza, interrompendo i 10 anni di presenza continuativa, non avrà più il requisito per poterla chiedere. Stesso discorso vale per chi, volendo sposarsi in Italia con un italiano/a, volesse anche andare a trovare la propria famiglia di origine prima di avere la cittadinanza per motivi di matrimonio. È un’ingiustizia perché chiaramente prevede che la mobilità sia limitata e le persone non sono libere di decidere di spostarsi. Il requisito italiano dei 10 anni è uno dei più restrittivi in Europa”.
Non basta, secondo Valenzi, “giocare con i numeri. Ci vuole la volontà politica e del diritto di immaginare una legge che sia il più possibile fruibile per tutte e per tutti. Non esiste un modello unico, ma sicuramente questa è la direzione da prendere, e va accompagnata dal superamento del gap linguistico, come giustamente Maurizio Ambrosini richiamava recentemente in un suo articolo. È importante portare tutte le persone che frequentano i cicli scolastici, quindi principalmente i giovani, ad una sorta di parificazione quantomeno nell’utilizzo della lingua. Questo è un requisito fondamentale, cittadinanza o meno, uno dei passi essenziali affinché la società possa permettere alle persone, e specialmente ai giovani, di sentirsi più integrate”.
Sulle principali iniziative promosse dalla FCEI sul tema della cittadinanza, Valenzi ha detto: “La Federazione, negli anni, ha sempre svolto un ruolo fondamentale all’interno delle politiche per la cittadinanza, partecipando attivamente a numerose campagne che si sono susseguite su questo tema. Storicamente, la Federazione ha appoggiato e sostenuto queste iniziative, non solo attraverso la raccolta firme, ma anche collaborando con altre realtà della società civile. La cittadinanza è un argomento su cui la Federazione è stata costantemente impegnata, sia nell’ambito dei servizi legati all’immigrazione, sia attraverso il lavoro della Commissione Studi Dialogo e Integrazione (COSDI), che si è dedicata ampiamente a questo tema.
Lo scorso anno abbiamo deciso di riportare all’attenzione un tema che, in quel momento, non sembrava essere al centro del dibattito pubblico, ma che noi riteniamo da sempre urgente: la cittadinanza, appunto. Per questo motivo, abbiamo pubblicato un libro che affronta questo argomento da molteplici prospettive, includendo contributi teologici, sociologici, filosofici, politici e giuridici. Questo testo evidenzia come il tema della cittadinanza sia cruciale per le nostre democrazie e per la vita delle nostre società. Sebbene il tema emerga periodicamente nel dibattito pubblico per poi scomparire, viene spesso strumentalizzato per testare alleanze su questioni sensibili, come sta avvenendo nelle ultime settimane.
L’impegno della Federazione non si è mai interrotto, continuando a sostenere campagne legate alla cittadinanza, sia attraverso lo studio sia con il sostegno attivo. In questo contesto, il tema centrale resta quello dei giovani nati e cresciuti in Italia, ma privi di cittadinanza, una questione sia giuridica che politica”.