Il corpo è linguaggio. 16 giorni per vincere la violenza

Roma (NEV), 25 novembre 2024 – Dal 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne) al 10 dicembre 2024 (Giornata mondiale dei diritti umani), l’Agenzia NEV pubblica a puntate, una pagina al giorno, i contributi del Quaderno della Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI) “16 giorni per vincere la violenza”.

Qui di seguito, l’editoriale di apertura firmato dalla presidente FDEI, pastora Mirella Manocchio.

Qui, tutte le puntate: 16 giorni contro la violenza sulle donne 2024 Archivi – Nev


“Se si è donna, in Italia si muore anche di linguaggio. (…) È con le parole che ci fanno sparire dai luoghi pubblici, dalle professioni, dai dibattiti e dalle notizie, ma di parole ingiuste si muore anche nella vita quotidiana, dove il pregiudizio che passa per il linguaggio uccide la nostra possibilità di essere pienamente noi stesse. Per ogni dislivello di diritti che le donne subiscono a causa del maschilismo esiste un impianto verbale che lo sostiene e lo giustifica. Accade ogni volta che (…) vi dicono di calmarvi, di farvi una risata, di scopare di più, di smetterla di spaventare gli uomini con le vostre opinioni, di sorridere piuttosto, e soprattutto di star zitta.” (da M. Murgia, Stai zitta, Einaudi Editore, 2021)

In modo esemplare e chiarissimo, Michela Murgia ha sintetizzato il legame tra linguaggio e discriminazione di genere e di come questo legame si invera nella nostra corporeità.

Se nel vangelo di Giovanni la Parola di Dio si fa carne in Gesù Cristo per condividere la condizione umana proprio nella corporeità e offrire al contempo una rappresentazione concreta della grazia divina, dal canto suo il genere umano ha usato il linguaggio in tutte le sue sfumature ed espressioni per descrivere il corpo ma pure per etichettare, costruire stereotipi ed esprimere pregiudizi.

Quest’anno, il Quaderno della FDEI dei 16 giorni per vincere la violenza sulle donne desidera esplorare tale intreccio smascherandone le ambiguità e cercando di scardinare luoghi comuni nel tentativo di offrire uno sguardo altro, aprire squarci di riflessione critica e proporre orizzonti di consapevole solidarietà.

Si parte con le bambine e i bambini, prime vittime di un linguaggio educativo discriminatorio e colmo di pregiudizi, e con la necessità di “nuove parole per nuovi desideri, fuori dal richiamo regressivo del potere” per poi proseguire con i vari ambiti in cui questo linguaggio si incardina: il mondo della letteratura e della scienza, quello del lavoro e della politica, il mondo accademico e quello dello sport. In particolare, però, è l’ambito della comunicazione e dell’immagine ad essere influenzato da un certo linguaggio che sostiene la struttura sociale, culturale ed economica di tipo patriarcale e maschilista, ed è lì che le chiese devono mettere in atto una contro narrazione di genere volta al rispetto, all’equità, alla giustizia, all’amore.

Quanto le religioni e le chiese hanno proposto fin qui appare paradossale se non contraddittorio con il risultato di aver “spinto fuori dal tempio donne, omosessuali e lesbiche, trans” e, invece, dovrebbe condurre ad una ampia e seria riflessione che apra “vie nuove e creative, oltre le etichette che lacerano le vite reali delle persone credenti”.

Qualcosa è stato fatto, ma tantissimo rimane ancora da fare attraverso la preghiera, la riflessione critica e l’azione solidale se davvero si vuole andare oltre il vacuo parlare – quello sì – di tanti…