Roma (NEV), 6 dicembre 2024 – Ieri, giovedì 5 dicembre, si è svolto l’incontro intitolato “Sedici giorni per vincere la violenza. Corpi e linguaggi contro i femminicidi”, presso lo stand P20 del Centro per il Libro e la Lettura (CEPELL) alla Fiera nazionale della piccola e media editoria “Più Libri Più Liberi”, ospitata nel centro congressi La Nuvola a Roma. L’evento, realizzato in collaborazione con il Coordinamento delle riviste italiane di cultura (CRIC), ha riportato al centro del dibattito il tema della lotta contro la violenza di genere. L’incontro è stato arricchito dalla partecipazione di figure di rilievo impegnate su diversi fronti contro la violenza sulle donne.
Mirella Manocchio, presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI), ha introdotto il dibattito sottolineando l’importanza dell’impegno congiunto delle istituzioni religiose e della società civile per contrastare ogni forma di violenza.
Inoltre, ha presentato il contenuto del Quaderno “16 giorni per vincere la violenza”, inserto del settimanale Riforma prodotto ogni anno dalla FDEI già da diversi anni. I 16 giorni vanno dal 25 novembre (Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza sulle donne) al 10 dicembre 2024 (Giornata mondiale dei diritti umani). Quest’anno il Quaderno si sofferma sul tema del corpo e del linguaggio, con diversi contributi. Dagli stereotipi di genere nelle religioni, nella politica, nella società, ai corpi e linguaggi nella letteratura, nella storia, nella scienza, nel lavoro, nelle norme, in pace, in guerra. E ancora, nello sport, nell’infanzia e nell’adolescenza, nel cinema, nella televisione e di fronte alle nuove frontiere dell’Intelligenza artificiale. Si è parlato anche della campagna dei “Giovedì in nero” (#ThursdaysinBlack), lanciata diversi anni fa dal Consiglio ecumenico delle chiese (CEC) e sostenuta in Italia dalla FDEI e da diverse chiese protestanti. Manocchio, che indossava la collana di stoffa rossa contro la violenza (una delle altre diverse iniziative della FDEI) ha evidenziato come il cambiamento debba essere collettivo, non solo delle donne, ma anche degli uomini. È fondamentale creare spazi di dialogo e alleanze, gestire in modo sano la rabbia e abbattere gli stereotipi di genere, perché questi colpiscono tutti, gli stessi maschi. Ha sottolineato l’importanza di superare la normalizzazione della violenza e del sessismo, spesso nascosti dietro meme o battute apparentemente innocue. Ognuno, con i propri strumenti, deve continuare ad agire e riflettere, senza lasciare che le ingiustizie passino inosservate.
Francesca Debora Nuzzolese, docente di Teologia Pratica presso la Facoltà valdese di teologia, è anche psicoterapeuta e ha studiato in Svizzera, Australia, USA.
Si è occupata, inoltre, di tratta e traumi in zone di conflitto, e nel corso del dibattito ha approfondito il tema della violenza introiettata, di come sia necessario “partire da dentro”, andare oltre le parole e “agire” nel quotidiano, per trasformare in meglio le relazioni interpersonali, intime e sociali. Nuzzolese ha posto l’attenzione sull’importanza delle strategie e delle pratiche: occorre essere concreti e concrete, votare, scendere in piazza, ma anche fare un lavoro interiore di riconoscimento delle dinamiche violente che accettiamo come normali. Ha invitato a riflettere su ciò che abbiamo introiettato, come il sessismo e la violenza ereditata, e a impegnarsi in un percorso costruttivo di autoconsapevolezza e trasformazione personale. È un percorso che dura tutta la vita, è bene quindi iniziare da subito.
Donata Pacces, membro del direttivo del CRIC ed esperta di relazione esterne, ha offerto uno sguardo critico su quanto accade a livello nazionale e internazionale, anche evidenziando alcuni dati.
Per Pacces serve un’azione in profondità, fatta di piccoli passi, educazione e formazione. Ha sottolineato la necessità di sostenere fortemente le associazioni per i diritti umani, soprattutto su temi come l’apartheid di genere, facendo riferimento alla reintroduzione della lapidazione in Afghanistan e al blocco delle facoltà di ostetricia, che rappresentavano l’ultima possibilità di studio per le ragazze afghane, ormai private di tutto: libertà, parola, istruzione, salute. Anche Pacces ha esortato a promuovere azioni concrete per fare sì che l’apartheid di genere venga riconosciuta come crimine contro l’umanità presso l’ONU, continuando il lavoro di sensibilizzazione su questi temi cruciali.
Maryam Pezeshki, artista e attivista iraniana, ha portato una testimonianza vibrante sulle sfide e le battaglie delle donne in Iran.
Fra l’altro, ha sollevato la questione della legge sull’hijab in Iran, evidenziando come una donna che non indossi correttamente il velo rischia di essere punita più severamente di chi organizzasse un rapimento. Chiedendosi come sia possibile che un intero sistema politico si possa reggere su un capello di una donna, Pezeshki ha dichiarato che il vero tradimento è il silenzio e ha invitato tutti a parlare e a fare rumore per denunciare la condizione delle donne iraniane, per dare voce a chi è ingiustamente rinchiuso in carcere o privato dei diritti fondamentali, ricordando il grido di protesta che dall’Iran ha attraversato i confini: “Donna, Vita, Libertà”.
Amarilda Dhrami, scrittrice e collaboratrice di Confronti, giornalista italo-albanese coautrice del libro “Donne d’Albania in Italia. Riflessioni, testimonianze, emozioni” edito da Com Nuovi Tempi, non ha potuto essere presente all’evento, ma ha inviato un messaggio di saluto.
Ha coordinato l’incontro Elena Ribet, giornalista dell’agenzia NEV.
L’iniziativa è stata realizzata grazie al contributo della Direzione generale Educazione, Ricerca e Istituti culturali – Servizio II “Istituti culturali” e al sostegno dei fondi Otto per mille della Chiesa valdese – Unione delle chiese metodiste e valdesi. Fondamentale è stata anche la collaborazione di Valdo Spini, presidente del CRIC, e di Giada Fazzalari.
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