Roma (NEV), 16 dicembre 2024 – Il prof. Mario Lupoli, ricercatore e docente, è tra gli organizzatori del Convegno multidisciplinare “La riflessione sullo Spirito. Percorsi, ipotesi, ricerche”. L’iniziativa è stata promossa dalla Facoltà pentecostale di Scienze Religiose di Bellizzi (SA) lo scorso 7 dicembre. Abbiamo posto al prof. Lupoli alcune domande.
Riguardo al recente convegno sullo Spirito, quali sono stati gli spunti più significativi emersi?
Il tema dello “spirito” si è confermato di notevole rilevanza, e in grado di aprire a prospettive di indagine particolarmente feconde in ambito storico, filosofico, teologico e sociale, mettendo in risalto una dimensione che nelle teologie delle grandi tradizioni di fede non è sempre adeguatamente valorizzata, e che in ambito teoretico tende oggi a essere accantonata. Nel convegno, lo “spirito” si è dimostrato tuttavia costituire una vera e propria prospettiva epistemologica ed ermeneutica, irrinunciabile per comprendere la realtà, anche nelle sue manifestazioni ideali, storiche, comunitarie e socio-politiche.
Nel nostro contesto contemporaneo, sempre più pluralistico e spesso secolarizzato, ma anche individualistico, conflittuale e polarizzato, trova che sia facile o difficile parlare di Spirito? Quali sono, secondo lei, le sfide principali nell’ambito del pensiero? E nell’ambito teologico?
La difficoltà principale è la perdita di senso della trascendenza. Faccio qui ricorso a una concezione ampia ma anche radicale di tale termine. A venire soffocata è la possibilità stessa di pensare oltre un piano della realtà che si presenta come grigio compimento della storia: una storia che non ha più niente da dire, in cui ogni speranza è cinicamente ridotta a follia da deridere. Le sfide in ambito teoretico, pratico e teologico possono trovare nello “spirito” un punto di intersezione. Anche se accolto da prospettive differenti, laiche o religiose, filosofiche e/o teologiche, nello “spirito” le donne e gli uomini hanno una possibilità di nominare – e quindi di riconoscere, di pensare e coltivare – quell’attività libera e creativa che è vita, relazionalità, progetto, processo dinamico che spinge al di là della rassegnazione, che mette in discussione lo status quo e lo oltrepassa.
Come vede il rapporto tra l’esperienza spirituale personale e la dimensione comunitaria (della fede, ma anche della società)?
Interrogandosi sul manifestarsi dello Spirito di Dio nello spirito dell’uomo, Paul Tillich ne individua il contenuto nella fede e nell’amore, osservando che «la fede è lo stato di essere afferrati dall’unità trascendente della vita senza ambiguità e comprende l’amore in quanto stato dell’essere trasportati in quell’unità» (Teologia sistematica, III, Torino 2003, p. 142). E ogni vissuto in cui fede e amore siano esperiti con autenticità è intrinsecamente relazionale. Se individualità e ineffabilità sono tratti propri dell’esperienza spirituale personale, che quest’ultima possa farsi amore apre a possibilità di costruzione di forme inedite di connessione e comunicazione. Un esempio è offerto dalle molte esperienze carismatiche, che danno parola a chi non l’aveva, e tessono nuove comunità dove mancavano. Il leghein, che è unire, raccogliere, dà luogo al logos. Ci si può chiedere in che misura ciò possa risuonare anche in una prospettiva laica. Ma una sfida oggi è proprio riconoscere terreni comuni di cammino e riflessione dialogica, anche al netto e nel rispetto di tradizioni differenti: la polivocità del termine “spirito” consente di tracciare piste di ricerca privilegiate. Mi piace richiamare un celebre momento della riflessione di Max Horkheimer, in cui viene colta nella teologia quella «speranza che, nonostante questa ingiustizia, che caratterizza il mondo, non possa avvenire che l’ingiustizia possa essere l’ultima parola» (La nostalgia del totalmente Altro, Brescia 2001, pp. 74-75). In questo senso è evidentemente un ordine del discorso che riguarda tutte e tutti.
C’è un aspetto della comprensione dello Spirito che, secondo lei, meriterebbe maggiore attenzione nella riflessione teologica e/o filosofica?
Sono ormai numerose le voci che, sin dal secolo scorso, si alzano a denunciare il carattere totalitario e distruttivo che ha assunto la razionalità strumentale, oggi dominante. Come sue vittime cadono la speranza nel futuro, una ricerca credibile di significato, il senso della totalità. La prospettiva stessa della centralità dello “spirito”, inteso tanto filosoficamente quanto teologicamente, rappresenta la possibilità di recuperare la radice affettiva della ragione, di valorizzare l’intelligenza nella sua multidimensionalità, di alzare lo sguardo oltre la muta legalità del qui e ora. È la via per restituire all’umanità la sua costitutiva apertura all’altro, all’ulteriore, all’oltre. Spirito significa allora anche la condizione di esistenza di un umanesimo consapevole dei propri limiti, e che tuttavia sa sporgersi con cura, fiducia e meraviglia oltre di essi.