Roma (NEV), 20 dicembre 2024 – “Ho lottato per i miei figli, i miei nipoti e le mie nuore. Ho lottato per tutte le vittime di violenze, per le donne violentate non riconosciute, le cui storie restano nell’ombra”. Con queste parole Gisèle Pelicot ha commentato la sentenza di condanna al marito: 20 anni per averla drogata e stuprata, con decine di complici. In Francia, ma non solo, il caso ha suscitato enorme scalpore.
La vittoria di Gisèle Pelicot sugli stupri: «Ho lottato per le altre vittime»
Abbiamo chiesto alla pastora Mirella Manocchio, presidente della Federazione delle donne evangeliche in Italia (FDEI), di commentare quanto accaduto, all’indomani del processo che ha stabilito la condanna.
È probabile che nei prossimi anni la città di Avignone venga ricordata non unicamente per la cosiddetta ‘cattività avignonese’ dei papi, ma per un processo che ieri ha portato alla condanna di un marito e di suoi 50 complici per aver drogato e stuprato la moglie di lui, Gisèle Pelicot, sottoposta a violenze da ben 72 diversi aggressori.
Questa è la cronaca brutale che ha scosso la Francia intera schieratasi con la coraggiosa 72enne che ha portato avanti il processo con determinazione non solo pensando alla sua famiglia, ma a “tutte le altre famiglie toccate da questo dramma.” Questo ha dichiarato ai microfoni ringraziando chi l’ha sostenuta ed ha aggiunto: “Penso alle vittime non riconosciute. Voglio che sappiate che condividiamo la stessa lotta”.
La stessa lotta condivisa dalla FDEI e dalle tante associazioni di donne contro la cultura patriarcale, sessista e machista che attanaglia anche la società italiana e che non è stata cancellata dalla legge del 1975 che modificava il diritto di famiglia eliminando la subordinazione della moglie nei rapporti patrimoniali e personali oppure con l’eliminazione del delitto d’onore nel 1981 (legge 442).
Il cammino su questa strada è ancora lungo e impervio, ce lo raccontano le impietose statistiche sulle discriminazioni, le violenze e gli omicidi contro le donne.
E lo è ancora di più perché tante giovani sono state convinte che tutto è ormai acquisito o peggio che per essere accettate nei gruppi bisogna sovraesporre il proprio corpo come segno di libertà o ancora che il possesso e controllo da parte del fidanzatino di turno equivale ad essere davvero amate!
Non basta il Codice Rosso, non bastano i braccialetti elettronici se poi nei processi si cerca di giustificare l’azione maschile o ancora se dopo un anno non è più possibile procedere alla denuncia di una violenza: occorre molto più tempo per raccogliere il coraggio e procedere a scoperchiare un verminaio…
Soprattutto non bastano i regimi punitivi a scalfire mentalità e costumi acquisiti e quotidianamente sostenuti da linguaggi – tantissimi, troppi via social o nelle canzoni di giovani rapper come il contestato Tony Effe – che sminuiscono le donne, ne fanno oggetto di scherno e di arrogante possesso.
Occorre un cambio di passo e una nuova educazione alla relazione e all’affettività che scardini i rapporti di potere e sopraffazione a tutti i livelli… lo diciamo da tempo, forse troppo tempo e per questo dentro e fuori le chiese, noi donne evangeliche non vogliamo limitarci a parlare o scrivere, ma pure agire proponendo progetti che incontrino gli adolescenti delle nostre chiese con una prospettiva di relazione credente volta alla parità e alla giustizia.
Non vogliamo
essere mantenute abbellite protette
nutrire ammaestrare ridimensionare i figli
far da mamme ai maschi e rigenerarli
Non vogliamo
imparare quello che i maschi sanno
dominare e comandare
essere serviti e conquistare
cacciare predare e sottomettere
(da Emancipazione femminile di Dorothee Sölle)
past. Mirella Manocchio
presidente FDEI
Per il contrasto alla violenza sulle donne, la FDEI promuove da diversi anni iniziative e progetti fra cui il Quaderno 16 giorni contro la violenza sulle donne 2024 Archivi – Nev