Fermiamo l’odio: la testimonianza di Sheeren e Dorit

Roma (NEV), 27 gennaio 2025 – Pubblichiamo il testo della rubrica “Finestra aperta”, a cura della pastora Cristina Arcidiacono, andato in onda ieri mattina, in chiusura del programma di RAI Radio1 “Culto evangelico”.


Sheeren e Dorit sorridono e salutano in italiano le persone che sono venute ad ascoltarle. Entrambe vengono dal villaggio di Neve Shalom/Wahat-al-Salam, “Oasi di pace”, situato su una collina, sulla strada che da Tel Aviv va a Gerusalemme. Si tratta dell’unica realtà in Israele in cui famiglie ebree e famiglie arabe palestinesi vivono insieme come progetto di vita senza armi, né reali, né simboliche.

Dorit e Sheeren sono entrambe cittadine israeliane, perché, spiega Sheeren, in Israele il 20% della popolazione è palestinese, musulmana e cristiana. Sheeren è stata la prima bambina musulmana a nascere a Neve Shalom/Wahat-al Salam, mentre Dorit fa parte di uno dei primi nuclei familiari di ebrei israeliani che hanno fondato il villaggio.

Fu Bruno Hussar, un padre domenicano, di origine ebraica e vissuto in Egitto in un contesto islamico, che ebbe l’idea di costruire un villaggio in cui la pace potesse essere vissuta a partire dall’incontro e dal dialogo tra ebrei, palestinesi, cristiani.

Cristina Arcidiacono

Martedì scorso, a Milano, Sheeren Najjar e Dorit Alon Shippin, hanno portato la loro testimonianza in un incontro ospitato e sostenuto dalle Acli e organizzato grazie all’Associazione amici dei Neve shalom/Wahat-al-Salam, dal gruppo di lavoro della Federazione Chiese Evangeliche in Italia: “Fermiamo l’odio, aiutiamo i costruttori (e le costruttrici) di pace”, in collaborazione con la rivista e il centro studi Confronti.

L’ascolto reciproco e il dialogo sono al centro del metodo della scuola per la pace del villaggio. Fin dalla prima infanzia, bambine ebree vanno a scuola con piccoli palestinesi: imparano l’ebraico e l’arabo, conoscono le rispettive culture, crescono accogliendo le rispettive narrazioni.

É un’esperienza unica. In Israele le scuole sono separate, e si può vivere una vita intera conoscendo l’altro, l’altra, esclusivamente da come viene descritto dai media. E, in Israele,  le notizie arrivano in modo molto diverso a seconda che si ascoltino mezzi di comunicazione arabi o ebraici.

La gestione dei conflitti è all’ordine del giorno nel villaggio: Sheeren e Dorit hanno sottolineato come in questo momento il conflitto più grande sia ubbidire o meno ad arruolarsi nell’esercito israeliano: la metà degli uomini ebrei di Neve Shalom/Wahat-al-Salam fa obiezione di coscienza, proibita dalla legge dello Stato d’Israele.

Da donna palestinese, musulmana, Sheeren non può accettare che i propri compagni di vita, amici, vicini, possano entrare in un esercito che ha come obiettivo la distruzione del suo popolo; eppure sceglie di stare nell’impasse, non nella soluzione violenta, ma neanche nel silenzio-assenso, almeno nel villaggio, dove tutte e tutti hanno gli stessi diritti.

Luogo del silenzio, o della preghiera è una cupola che accoglie ogni fede e ogni ricerca spirituale. Si celebrano qui le feste religiose delle fedi presenti nel villaggio, si studia, si partecipa ai seminari interreligiosi e di educazione al pluralismo religioso. Perché Dio può essere adorato nel silenzio.

Le parole di Dorit e di Sheren, quelle pubbliche e quelle scambiate nei momenti informali, mi hanno portato a guardare i miei, i nostri conflitti: “Come la scuola italiana accoglie la rabbia dei ragazzi arabi?”. ha chiesto Sheeren in un incontro con studenti di quarta e quinta superiore alle professoresse presenti.

Dal macro al micro sono andate le loro parole, la franchezza e l’onestà del loro relazionarsi. In che misura la mia vita, la comunità in cui vivo, le chiese, le scuole sono palestre di diversità, di ascolto reciproco, di apprendimento in vista della pace? Come posso esercitare la pace valorizzando le divergenze e le diversità? Questa la domanda che Sheeren e Dorit mi hanno lasciato, nel desiderio di averne cura e di farla diventare vita.